Innovare la didattica  perché è tempo di imparare ad ascoltare, condividere e lavorare  con i pazienti!

E’ una didattica innovativa perché coinvolge il paziente e perché ha contenuti originali che non si trovano sui testi.
I futuri professionisti della salute imparano la medicina da docenti che insegnano con i pazienti.
Accanto al docente che insegna la malattia, come e perché insorge, come si manifesta, come si fa la diagnosi, come si cura, i pazienti insegnano contenuti importanti come:

  • l’importanza dell’ascolto e della buona relazione fra medico e paziente… non solo con il paziente ma anche con la famiglia
  • cosa significa vivere con la malattia, soprattutto con la malattia cronica, e con gli esiti delle malattie gravi
  • come ci si adatta al cambiamento
  • come si fa a vivere con la disabilità e la non autosufficienza; con le paure e la fatica quotidiana dell’essere malato; con la difficoltà di aderire ai trattamenti complessi, con la paura di morire

Al centro dei contenuti di insegnamento non c’è la denuncia di ciò che non funziona, ma la scoperta di ciò che funziona della cura, cioè le “buone pratiche” di cura che sono i contenuti originali irrinunciabili di insegnamento, aderenti al cambiamento dei bisogni di salute: 

  • bisogni di comprensione e di partecipazione da parte dei pazienti
  • necessità di aderenza ai trattamenti: 50-80% non rispettano le prescrizioni del loro medico
  • necessità di superare l’invadenza di internet: il 70% dei pazienti e dei loro famigliari ricercano informazioni sulla salute su internet
  • necessità di cura delle malattie croniche: il 50% é colpita da almeno una malattia cronica
  • il focus dei contenuti e delle abilità da apprendere non è la lesione dell’organo malato, che non guarisce, ma è il vivere con la cronicità / la non-guarigione. E’ il cambiamento-adattamento che questo richiede, che è qualcosa di trasversale e comune a tutti i pazienti e familiari

La poesia di William E. Henley, resa celebre dal film Invictus, su Nelson Mandela, è un riferimento esemplare:

Dal profondo della notte che mi avvolge,   
buia come un pozzo che va da un polo all’altro, 
ringrazio qualunque Dio esista   
per l’indomabile anima mia.

Nella feroce stretta delle circostanze   
non mi sono tirato indietro, né ho gridato.
Sotto i colpi d’ascia della sorte   
il mio capo è sanguinante, ma indomito.

Oltre questo luogo d’ira e di lacrime   
si profila il solo orrore delle ombre,
eppure la minaccia degli anni   
mi trova, e mi troverà, senza paura.

Non importa quanto stretto sia il passaggio   
quanto piena di castighi la vita
Io sono il padrone del mio destino:   
Io sono il capitano della mia anima.

Questa poesia fu composta nel 1875, sul letto di un ospedale, quando William Henley aveva 26 anni.
All’età di 12 anni, Henley era rimasto vittima del morbo di Pott, grave forma di tubercolosi ossea. Nonostante ciò, riuscì a continuare i suoi studi e a tentare una carriera giornalistica a Londra. Il suo lavoro, però, fu interrotto continuamente dalla grave patologia, che all’età di 25 anni lo costrinse all’amputazione di una gamba, per sopravvivere. Henley non si scoraggiò e continuò a vivere ancora per 30 anni con una protesi, fino all’età di 54 anni.
La poesia era usata da Nelson Mandela per alleviare gli anni della sua prigionia durante l’apartheid. Figlio del Novecento; forse l’ultimo dei Giganti. Anche lui Invictus, (invincibile). Mandela amava i versi di Henley: “Ringrazio qualunque dio esista per la mia anima invincibile… Io sono il padrone del mio destino; Io sono il capitano della mia anima” con cui si conclude il film. 
La poesia e la forza che anima il percorso nella sofferenza di Mandela, per lottare e vincere, può dare senso allo spirito che anima i nostri pazienti e i nostri caregiver… per l’analogia del percorso e della partecipazione al progetto EDUCare per dare un contributo all’insegnamento della medicina per le persone.
Solo il paziente e la famiglia che sono “diventati padroni del proprio destino”, che hanno dovuto lottare per adattarsi a vivere con il cambiamento imposto dalla malattia, e a vincere i momenti difficili, solo loro possono insegnare questa parte ai curanti e agli studenti, futuri curanti.
I pazienti “insegnanti” del nostro progetto, sono stati selezionati fra altri, non per la tipologia di malattia, ma per l’essere malati (o l’essere stati malati) perché avendo già fatto il percorso di rielaborazione della propria storia hanno “rinforzato la loro anima”, sono diventati invincibili.

ECCO IL MEDICO CHE VORREI

Il medico che vorrei è una persona che sa ascoltare e che, mentre mi ascolta, osserva come parlo e come mi muovo.
Il medico che vorrei non scrive sul computer mentre gli parlo, ma mi guarda in faccia.
Il medico che vorrei è empatico e, mentre gli racconto di me, “sente” quello che gli dico.
Il medico che vorrei si ricorda come vivo, cosa faccio e chi sono i miei affetti e mi chiede se va tutto bene.
Il medico che vorrei sa che ho paura anche se non glielo dico.
Il medico che vorrei mi visita parlandomi e ascoltando le mie domande e, mentre mi tocca qua e là, mi dice perché lo sta facendo.
Il medico che vorrei mi prescrive una terapia dandomi informazioni precise e ripetendomi le cose più volte, affinché io le capisca bene.
Il medico che vorrei mi chiede di informarlo a metà terapia e quando lo chiamo al telefono c’è.
Il medico che vorrei mi saluta con un abbraccio quando me ne vado e mi dice che, anche se ci metterò un po’ a riprendermi, andrà tutto bene.

(Francesca)