Mi chiamo Alice Orlich ho 45 anni ,un marito e due bambini di 12 e 9 anni ,Adriano e Giulia.
Questa è la nostra storia anzi,dovrei dire la la storia di Adriano ma la storia di ognuno di noi
impatta necessariamente su chi sta intorno e quindi diventa la storia di tutti e ne influenza il
vissuto ,motivo per cui la sto scrivendo e voi la state leggendo.
Adriano è arrivato subito dopo il matrimonio,cercato e fortemente voluto, quandono avevo 33
anni.
Gravidanza e parto senza alcun intoppo ,bimbo sanissimo e buonissimo ,mangiava e dormiva ,a
6 mesi ha iniziato a lallare , a 12 camminava…..insomma tutto da manaule.
Io mi dedicavo solo alla famiglia per scelta condivisa con mio marito in quanto dopo il parto
nello studio medico dove lavoravo ( sono un tecnico sanitario di radiologia medica ma
utilizzavo altri macchinari biomedici e facevo un po’ da factotum) non c’era più posto per me
,date le limitazioni d’orario imposte dall’allattamento.
Rinunciare al lavoro ,nonostante a me piaccia particolarmente il contatto con la gente,non mi
era pesato perché volevo vivermi a pieno il momento e il ruolo di madre mi gratificava al punto
che dopo 18 mesi dalla nascita di Adriano abbiamo concepito un’altra vita , Giulia.
Adriano intanto era diventato un vivace bimbetto impulsivo come solo i maschi sanno essere e
tardava un po’ a iniziare a parlare,non che fosse completamente muto ma non articolava bene
le parole,niente di grave ,i maschi sono più svelti nello sviluppo motorio mi dicevano.
All’epoca dell’inizio della scuola materna a tre anni e mezzo Adriano diceva quattro parole e il
ritardo di linguaggio era conclamato con tutto ciò che ne può conseguire; le relazioni con i
compagni erano difficoltose e al secondo anno di materna i comportamenti di Adriano erano
talmente anomali da allertare le insegnanti,nonostante il programma di logopedia attivato
dall’Asl.
Il linguaggio piano piano migliorava ,non così il comportamento: le sue modalità di interazione
erano sempre di provocazione o imposizione sull’altro e le maestre faticavano a lavorare con
lui per l’impulsività e l’opposizione .
Noi cercavamo di attuare strategie per rimediare a questi comportamenti che sentivamo figli
della difficoltà di eloquio attraverso programmi di psicomotricità e judo e la sorella dal canto
suo era il suo stimolo quotidiano alla relazione .
Alla ricerca di ulteriori strumenti avevamo richiesto alla psicologa affidata al caso per la
logopedia di effettuare test comportamentali ma la risposta era sempre che la priorità andava
data al linguaggio.
L’ultimo anno di materna Adriano parlava ,sempre con qualche difficoltà ma in modo da
riuscire a comunicare,il comportamento però nono era migliorato il ciclo di logopedia era
terminato e dato le mie insistenze la psicologa decide finalmente di approfondire…..prescrive
una valutazione al centro autismo di Reggio Emilia.
Primo trauma .
La sola parola autismo ci aveva terrorizzato,era arrivata inaspettata dopo che avevamo quasi
implorato che le difficoltà relazionali venissero prese in considerazione,ci era stato buttata lì
,spaventosa e oscura e ci aveva lasciato tramortiti.
Ma come?! Non era quello che volevamo?!non volevamo approfondire?!ci dicevano..
Certo ma l’autismo….non c’erano altri test da fare ?altri passaggi?
La reazione è stata da manuale : negazione,ricerca immediata di un altro parere anche se una
diagnosi in realtà ancora non c’era ma non era possibile neache solo pensare all’eventualità.
Quindi lottando contro il tempo abbiamo prenotato una visita neuropsichiatrica con un
professionista di grande esperienza alla ricerca di un parere contrastante ,prima di andare al
centro autismo.
E così è stato: per il neuropsichiatra era tutto normale in relazione al disturbo di linguaggio di
cui soffriva Adriano e che si ripercuoteva sulle sue modalità relazionali. Perfetto . Potevamo
andare al centro autismo sereni e tirare un sospiro di sollievo.
Due mattine di test in cui noi osservavamo nostro figlio attraverso un vetro ,pregando che
rispondesse alle richieste come avrebbe dovuto,rincuorati dalle parole degli operatori che lo
definivano bravissimo(quindi non è autistico!),aggrappati alla diagnosi neuropsichiatrica di
qualche giorno prima con una disperazione che ad oggi mi fa molta tenerezza.
La terza mattina ,senza bambino, la consegna della diagnosi: disturbo dello spettro autistico.
Tutte le protezione mentali,le barricate erette a difesa da quelle tre parole,crollate in un
secondo..e in un secondo la rabbia .
Non era come dicevano loro,io ne avevo le prove ,un altro medico la pensava diversamente e
poi non mi avevano detto che era stato tanto bravo?
Le facce pietose che mi guardavano mentre urlavo il mio dolore alimentavano la mia rabbia e
quelle parole…..Ma Adriano è sempre Adriano ,non è cambiato niente….parole che negavano
quel dolore ,che mi facevano sentire quasi in colpa per quello che provavo.
Non è cambiato niente ,dicevano ,e invece era cambiato tutto.
Per anni mio figlio nella mia testa non ha più avuto un futuro,quel foglio bianco ancora tutto da
riempire ,quelle magnifiche esperienze ,quelle infinite potenzialità..non c’era piu niente.
Solo un baratro di possibilità negate e futuro incerto.
Adriano non era più Adriano ,era solo un bambino autistico.
L’autismo non è una malattia ,non si guarisce , è una neurodiversita …frasi che si
accumulavano togliendo speranza ,aggiungendo disperazione.
Negazione e rabbia si sono miscelate in un cocktail che ci logorava da dentro ,incapaci di
rassegnarci e al contempo terrorizzati dal fare la scelta sbagliata .
Accettare la diagnosi era impensabile ma non accettarla poteva significare non dare a nostro
figlio la possibilità di essere aiutato .
Per l’infinito amore che proviamo per lui alla fine abbiamo ceduto ,e abbiamo iniziato il nostro
percorso al centro autismo, ereggendo nuove barricate mentali dicendoci che lui non era
autistico ma per aiutarlo le terapie erano quelle ,in fondo i bambini che incontravo non erano
come lui ,lui non era selettivo con gli alimenti ,lui non camminava sulle punte ,lui dormiva
bene …ma la tristezza dei miei occhi era uguale a quella di tutte le mamme e i papà che
attendevano che i figli finissero la terapia perché tutte le differenze tra Adriano egli altri che
potevo elencare all’infinito nella mia testa non bastavano mai a soffocare il dolore.
Tutte le volte che entravo in quel posto mi si stringeva lo stomaco ma non posso dire sia stato
un’esperienza solo negativa ,ho incontrato operatori giovani e bravissimi e persone che mi
hanno regalato spunti di riflessione tra i piu importanti della mia vita.
Nel corso di un parent training una psicologa ci chiese di pensare alla nostra vita precedente
alla nascita di nostro figlio e cercare di capire se ci fosse un nodo che nostro figlio era riuscito
a scioglere proprio per essere come è…..e cavolo si ,si che c’era .
Prima di Adriano ero una persona molto accondiscendente ,insicura delle mie capacità e alla
ricerca continua di approvazione ,Adriano mi ha reso forte, determinata, mi ha fatto capire il
valore che ho e di conseguenza mi ha liberato ,io e suo padre abbiamo superato una tempesta
che abbatte la maggior parte delle navi e ne siamo usciti ,ammaccati e sanguinanti ma ancora
uniti,ancora insieme. Un regalo senza pari. Tutto quel dolore alla fine non ha distrutto ma ha
costruito : consapevolezza ,attenzione , empatia,sono le qualità che mi riconosco da allora e
che mi hanno portato oggi a rimettermi in gioco nella sanità ma non più come tecnico di
macchinari ma come operatore assistenziale.
Il percorso di Adriano con il centro autismo si è interrotto dopo un anno dall’inizio del
conservatorio ,in quarta elementare .
Gli impegni musicali non combaciavano con l’ora e mezza a settimana di terapia in appalto che
il centro autismo riserva ai bambini”grandi” e francamente la ritenevamo da tempo ormai
inutile: per le sue caratteristiche di alto funzionamento stare in un gruppo di bambini con i
suoi stessi problemi non determinava nessuna spinta al cambiamento ,al contrario essere
immerso in una realtà di studio e divertimento con bambini neurotipici lo stimola ad acquisire
quelle competenze sociali che naturalmente non ha.
Quasi in concomitanza con l’inizio del suo percorso musicale iniziamo a notare anche dei
particolari tic del viso che però non so perché mi mettono in allarme.
Pur non sapendo niente in merito inizio a pensare all’epilessia, ne parlo con la psicologa del
centro autismo che tengo comunque sempre aggiornata nonstante lui non faccia più terapia, e
decidiamo di fare un eeg di controllo
Nello stesso periodo avevamo intrapreso anche il percorso genetico per valutare eventuali
cause genetiche della condizione di Adriano.
Parlando con la neuropsichiatra dell’ospedale incaricata del caso della volontà della psicologa
di approfondire “i tic” con un eeg mi sono imbattuta nell’ennesimo ostacolo comunicativo: il
fatto di azzardare ipotesi di diagnosi da parte mia e della psicologa è stato preso come un
offesa gravissima che ovviamente non era perché i miei modi sono sempre e comunque pacati
e rispettosi.
Non dando retta alla neuropsichiatra piccata ho scoperto che Adriano soffriva di epilessia a
piccolo male e necessitava di terapia farmacologica dato il numero elevato di eventi nell’arco
della giornata .
Questo implicava essere seguiti dal reparto di neuropsichiatria infantile e in particolare da chi
ci aveva già seguito per la valutazione genetica ma dati gli ultimi accadimenti in cui ero stata
ignorata e non ascoltata ho richiesto e ottenuto di essere seguita dal primario.
Iniziamo così la difficilissima ricerca del farmaco adatto ,posso solo dire che ancora a distanza
di tre anni non siamo del tutto a posto ma data la farmaco resistenza è probabile che sia il
miglior risultato che si possa sperare di ottenere.
La risposta ai farmaci era sempre problematica o non facevano niente o scatenevano risposte
comportamentali paradosso,in tutto ciò la presenza del medico era inesistente il che scatenava
frustrazione da parte mia che mi trovavo ad attendere risposte via mail per Intere settimane e
a volte mesi osservando impotente il malessere di mio figlio.
Alla fine ho lasciato l’ospedale di Reggio e chiesto la presa in carico all’ospedale dei bambini di
Parma, la prima volta che ho chiamato per parlare con la dottoressa e mi ha risposto non
credevo alle mie orecchie….perché purtroppo si fa l’abitudine alle cattive pratiche tanto che
quelle buone diventano eventi eccezionali.
Siamo a tutt’oggi seguiti da Parma con controlli cadenzati e calendarizzati e risposta puntuale e
sollecita ad ogni richiesta perché le terapie possono cambiare ,i sintomi presentarsi
all’improvviso e non è pensabile che un bambino stia poco bene per giorni senza che la
famiglia riesca a comunicare col curante.
È questione di costruire una relazione di cura in cui la voce di ognuno è imporante e aggiunge
qualcosa al quadro generale ,fatta di condivisione di intenti e in cui il tuo sentire la malattia ( il
famoso illness inglese) ha il suo valore.
Oggi il focus è l’epilessia perché è quella che maggiormente impatta sulla qualità di vita di
Adriano.
Con il test genetico abbiamo aggiunto un tassello alla diagnosi di spettro scoprendo che le
difficolta di adriano sono collegate ad una microduplicazione de braccio corto del gene due
ereditata dal padre.
Anomalia conosciuta in sei persone al mondo,due sono mio marito e Adriano.
Adriano ha sviluppato difficoltà maggiori rispetto a mio marito che è semplicemente una
persona particolare ma come ce ne sono tante.
Adriano quindi presenta caratteristiche riferibili all’autismo e un sistema tutto suo di
elaborazione che di fatto si può definire neurodiversita.
Possiamo dire di avere fatto pace con la diagnosi? Ni. Il dolore c’è ,relegato in un angolino ,ma
c’è anche la consapevolezza che se Adriano di colpo ” guarisse”( passatemi il termine) ci
mancherebbe da morire.
La cosa peggiore con cui facciamo i conti costantemente è l’incertezza del futuro,questa ci
logora e ci porta a volte a volerlo vedere crescere in fretta per accetarci il prima possibile che
ce la farà ad avere una vita normale, consapevoli che ci stiamo perdendo un po’ il bello di
vederlo bambino.
Questa è la nostra storia ,questo ci ha portato ad essere ciò che siamo e ha portato me in
particolare ad avere quasi la necessità di condividere il mio vissuto perche possa essere d’aiuto
e stimolo, perché serva a capire quanto importante sia il momento della condivisione della
diagnosi .
Ho conosciuto famiglie con poche risorse personali che sono state annientate ,e una famiglia
distrutta non può essere d’aiuto poi al figlio.
Vorrei fare capire ai professionisti sanitari che si avvicinano all’autismo l’importanza della
speranza , di lasciare da parte i formalismi e condividere le emozioni e la disperazione
,accoglierle come giuste e naturali e iniziare da lì a proiettarsi verso il futuro con proposte e
obiettivi .
E vorrei parlare di quanto sia importante la relazione di cura perché la famiglia deve essere
una risorsa e non una fastidiosa appendice in modo che davvero ci sia una possibilità per
questi bambini di diventare uomini e donne e non solo un peso per la società .
Grazie per l’attenzione,spero di non essermi dilungata troppo, le cose da dire erano tante !
Quando vorrete conoscermi personalmente avete i miei contatti e sarò ben felice di
incontrarVi.
A presto .

Alice Orlich