Era il 1997 ed avevo 49 anni. Nel corso di un’ecografia al fegato mi fu diagnosticata una formazione multipla di noduli su entrambi i reni. Un fulmine a ciel sereno anche perché io mi sentivo bene e non avevo alcun sintomo. Anche gli esami successivi evidenziavano una creatinina nella norma e nessuna perdita di sangue nelle urine. Il medico di famiglia mi affidò alle mani esperte di un urologo che operava a Modena, che mi ripulì da queste formazioni lasciandomi entrambi i reni funzionanti. Purtroppo l’esame istologico definì queste formazioni un carcinoma ma l’angoscia si attenuò quando mi assicurarono che la pulizia era stata radicale e non necessitavo di chemioterapia.

Mi ripresi dalla batosta abbastanza bene ma ai controlli successivi ricomparvero nuove formazioni che a poco a poco aumentavano di volume e dopo sette anni decisi su consiglio del professore di sottopormi ad un altro intervento in considerazione di ciò che aveva evidenziato l’esame istologico. Anche in questo caso dopo asportazione delle masse i reni erano funzionanti e l’esame istologico successivo definì queste formazioni degli oncocitomi (quindi formazioni benigne). Fu supposto che potevo avere una malattia genetica, anche in considerazione del fatto che una zia materna aveva il mio stesso problema; inoltre mia sorella, più giovane di un anno, si sottopose ad un controllo e purtroppo i suoi reni erano ampiamente intaccati da queste formazioni nodulari al punto che dovettero asportarle un rene subito. In lei gli oncocitomi crescevano molto più rapidamente per cui dopo cinque anni le fu asportato anche l’altro rene ed entrò in dialisi. A tutt’oggi non si sa ancora, nonostante le ricerche , di quale rara malattia genetica si tratti.

Nel 2008, ad un controllo, mi fu riscontrata un’idronefrosi, perché un nodulo cresceva a ridosso dell’uretere, impedendo la fuoriuscita dell’urina. Mi fu applicato uno stent del tipo doppio J, poi successivamente anche nell’altro rene per cui da allora ogni 8/10 mesi entro in day hospital per la loro sostituzione. Quando devo entrare in ospedale o fare esami tipo la TAC, sono giorni di viva preoccupazione, a volte anche di angoscia, ma fortunatamente fino ad ora tutto si è risolto positivamente in poco tempo per cui la qualità della mia vita è più che accettabile.

Il professore che mi segue è molto sensibile anche a questo aspetto per cui mi suggerisce di tenere sotto controllo la proliferazione di questi noduli, che fortunatamente aumentano lentamente, con esami, TAC, ecografie al fine di procrastinare il più possibile una sicura entrata in dialisi. Tutto questo mi permette di continuare una vita normale: lavoro, viaggio, mi occupo della famiglia, frequento i miei amici e seguo anche mia sorella che purtroppo fra dialisi e successivo trapianto sta affrontando, con una forza, insospettabile, un vero calvario.

Attraverso lei ho potuto verificare quanto sia difficile la vita del dializzato; e anche il trapianto ti libera dalla schiavitù della macchina ma ti rende eccessivamente fragile a causa di tutti i medicinali che producono una serie di effetti collaterali.

Sono molto grata al professore che mi segue perché ha sempre cercato, durante gli interventi, di conservare il più possibile il tessuto renale per evitarmi la dialisi troppo presto e darmi così la possibilità di condurre una vita quasi da sana. Come ho detto ci sono giorni di preoccupazione, come quando devo sostituire gli stent o fare le TAC, ma fortunatamente passati quei momenti, che fino ad oggi, salvo qualche piccolo problema, si sono risolti con esito positivo, mi dimentico volutamente dei miei malanni e cerco il più possibile di condurre una vita normale.