La mia storia in realtà non ha un vero punto d’inizio, perché parte da una malattia genetica e da una sua mutazione per cui sarei dovuta nascere sana o nel peggiore dei casi con una sintomatologia clinica lieve e a sviluppo tardivo.

La diagnosi di deficit di OCT (OrnitinCarbamilTransferasi) è stata fatta quando avevo nove mesi e da lì la mia vita, a causa della mancanza di un enzima, fondamentale nella processazione delle proteine e in particolar modo degli amicoacidi, è sempre stata un qualcosa di “di più”: avevo una rigida alimentazione a ridotto contenuto proteico, una serie di medicinali e miscele da prendere più volte al giorno e tutti i cibi che gli altri mangiavano per me erano off-limits. Non sono mai stata una fonte di grande preoccupazione per i miei genitori o per i medici che mi seguivano perché io sapevo di avere il mio cibo e, anche se non era bello e buono come quello degli altri, a me bastava perché era sempre stato così e non me ne facevo un problema.

Queste restrizioni sono sempre state presenti dallo svezzamento fino all’età di sei anni, quando la mia vita è cambiata un’altra volta, e non mi hanno mai dato alcun problema o mi hanno fatto sentire diversa.

Dato che le mie condizioni non erano né buone né stabili, a sei anni i medici decisero che avrei dovuto cambiare equipe e ospedale perché l’approccio possibile a tutti i problemi che stavo affrontando e che diventavano sempre più importanti era solo uno: il trapianto di fegato.

Fatti gli esami pre-operatori sono stata inserita nella lista d’attesa pediatrica nazionale e dopo un mese sono stata chiamata, dato che era stato trovato un organo compatibile con il mio.

Siccome ci sono delle tempistiche da rispettare per l’utilizzo di tutti gli organi donati, chiunque viene chiamato non ha tempo di tergiversare e quindi prepara tutto, se non già preparato in precedenza (cosa molto probabile), e tempo di avvisare le persone fondamentali che è giunto il momento tanto atteso, pronti che si parte. Non c’è tempo per pensare ad altro: la tua vita viene sospesa in quel preciso momento della chiamata e non c’è tempo per altro.

Certo la frenesia in quei momenti è inevitabile, specialmente se oltre alle borse preparate in precedenza c’è da gestire anche una gastrostomia percutanea (PEG), come era nel mio caso.

Dopo poco meno di tre settimane di ricovero sono stata dimessa con una bella lista di farmaci da prendere più volte al giorno e la possibilità di una dieta varia senza alcuna restrizione riguardo alle proteine, come era sempre stato in precedenza.

Se per qualsiasi bambino lo svezzamento inizia a partire dal sesto mese, io posso dire che il mio è iniziato a sei anni e mezzo e ammetto che ci sono state delle difficoltà perché non è stata per niente una cosa semplice, nonostante la fame non mi sia mai mancata.

Nel frattempo ho ricominciato le elementari, visto che nell’anno del trapianto e dei precedenti ricoveri in ospedale ero stata ritirata da scuola dopo solo quaranta giorni dall’inizio della prima elementare, sono stata iscritta a nuoto come un qualsiasi bambino normale e la mia vita è andata bene, fino a quattro anni dopo, quando dopo un attacco emetico improvviso siamo tornati a riprendere dimestichezza con tutte quelle facce che componevano l’equipe medica del trapianto.

Spaventati e increduli, dopo qualche tempo di analisi e biopsie epatiche la diagnosi è stata chiara: rigetto acuto in paziente già trapiantata. Nonostante l’utilizzo di tre farmaci antirigetto e altissime dosi di cortisone, non c’è stato nulla da fare per arrestare ciò che il mio corpo aveva messo in moto.

Ricordo che il primario, un uomo sulla cinquantina e con pochi capelli grigi, mi portò nel suo studio e, con un linguaggio idoneo a una bambina di quell’età, mi spiegò la situazione. Io, che non mi separavo mai dal mio pupazzo preferito, non feci una piega a quello che mi fu detto e annuii, uscendo dalla stanza. Come mi ha poi sempre fatto notare mia mamma, io non sono mai stata, e non lo sono tuttora, una persona che esterna quello che prova perché non mi piace esternare i miei sentimenti rispetto ai grandi avvenimenti della vita, come è stato il trapianto.

Dopo quattro mesi da quell’attacco emetico, da cui ha avuto inizio tutto, sono tornata in sala operatoria. Al momento del mio secondo trapianto mancavano pochi mesi al mio undicesimo compleanno e io ero una bambina che aveva dovuto interrompere di nuovo la scuola e tornare in quell’ospedale a duecento chilometri da casa.

L’intervento ha avuto successo e dopo quasi un mese di ricovero sono tornata a casa, pronta per vivere la mia vita al meglio.

Gli anni successivi sono stati anni normali, se così si possono chiamare, e ho vissuto la mia adolescenza più o meno come facevano i miei coetanei sani.

Ovviamente ci sono stati sia i momenti buoni sia i momenti meno buoni nel mantenimento dello stato di salute e, facendone trascorrere ben tre dal secondo trapianto, siamo anche riusciti a sfatare il mito dell’anno bisestile in quanto entrambi i trapianti sono stati fatti in anno bisestile.

Abituarsi alle nuove condizioni di vita in realtà non è stato un problema per me o per la mia famiglia perché, a parte per i primi nove mesi di vita, non sono mai stata una persona sana o di facile gestione. La terapia antirigetto non mi permette mai di dimenticarmi quello che mi è successo, visto che la devo prendere mattina e sera, ma è una situazione di equilibrio personale che è anche routine da praticamente una vita ed è quindi la mia normalità.

Oggi sono una ragazza di 24 anni, che non è stata capace di stare troppo lontano dall’ospedale in quanto ho intrapreso un percorso di studi che mi ha portato a fare l’ostetrica. Certamente trovare un equilibrio per quanto riguarda i farmaci in primis e di conseguenza gli esami ematici è stato difficile ma sono contenta della mia vita al momento. Sono grata di poter dire che non è da tutti in una vita possedere tre fegati ma l’importante è prendere la vita come viene senza mai arrendersi davanti alle difficoltà che ci vengono messe davanti e soprattutto senza perdere quell’ironia e quella voglia di scherzare che ti salva davvero la vita a volte.