Mi chiamo Giulio e ho appena compiuto 69 anni.
Tutto iniziò quando ne avevo “solo” 56 e mi trovavo a sciare (una delle mie passioni) sulle nevi del Tarvisio in Friuli. Era l’ora della “pausa pranzo” e con mio cognato ero in un accogliente rifugio di fronte al bellissimo Santuario del Monte Santo di Lussari. Non ricordo cosa stessi addentando, ma è invece ancora vivissima la fitta che sentii alla tempia sinistra. Chi si trovava di fronte a me si preoccupò per l’improvviso immobilismo che mi colpì e per la apparente ingiustificata lacrimazione dell’occhio sinistro.
Questo episodio non ebbe seguito per diversi mesi, ma dopo alcune altre piccole avvisaglie, decisi di iniziare il “pellegrinaggio” delle visite neurologiche per capire cosa mi stesse succedendo.
La prima diagnosi di cefalea trigeminale è datata 3/12/05 e allora mi venne consigliato di assumere 2 compresse al giorno di “Tegretol 200 mg”. Nell’ottobre 2006 il secondo neurologo mi prescrive un RM encefalo per “escludere nevralgia sintomatica, ad es. di conflitto neuro-vascolare” e nel frattempo mi aumenta la dose di Carbamazepina a 3 volte al giorno per due mesi.
Devo dire che fin qui le fitte lancinanti che mi immobilizzavano si erano manifestate sporadicamente, sempre per una durata di un paio di mesi all’anno, ed il mio grado di sopportazione del dolore in alcune circostanze, diciamo di rapporti professionali, mi consentiva quasi di mascherare il tutto. Però cominciava a farsi strada un’altra manifestazione del dolore con la cosiddetta “scossa” che si presentava con maggiore frequenza, ma minore intensità.
Nel dicembre 2006 effettuo una RM che, testualmente, riporta: “complesso ventricolare in sede, nei limiti”, “non significativi rilievi in fossa cranica posteriore” e “pressoché simmetrici e senza alterazioni del segnale i gangli di Gasser”. Cioè non si leggono le parole trigemino, conflitto, nevralgia e neppure neuro-vascolare.
La vita continua, a fine 2007 sono in pensione e mi ritrovo anche con maggior tempo da dedicare alla mia, a questo punto, presunta, nevralgia del trigemino.
Il 4/01/08 mi sottopongo ad un’altra visita neurologica a Baggiovara dove la dr.ssa mi spedisce al medico curante riportando sul referto semplicemente quello che io le avevo descritto nel presentarle il mio problema, peraltro quello che andavo dicendo a tutti i medici negli ultimi 2/3 anni.
Continuo ad assumere la mia carbamazepina, nel frattempo ridotta a 2 cpr al giorno. Ma tutto questo non basta per cui prenoto una visita da un noto professionista e nel febbraio 2009 ritorno dal mio medico con il suo “consiglio al momento della recidiva di provare Lyrica 75 mg due volte al giorno”. Io in quel periodo sto bene, ma continuo ad assumere Lyrica che affianco poi al Tegretol dopo una ulteriore visita a Villa Igea.
In tutti questi anni mi sono sottoposto a diversi esami del sangue per tenere sotto controllo emocromo, sodio, potassio, funz.epatica e renale. Sempre con esito confortante.
Trascorro circa 5 anni (da fine 2010 ad aprile 2016) di relativa tranquillità continuando ad assumere Tegretol e Lyrica che gradatamente abbandono su consiglio del medico. Si tratta di un periodo sufficientemente sotto controllo perché riesco a superare gli scarsi episodi di “scossa” che si concentrano nel periodo autunnale. Per cui ad inizio 2016 mi ritrovo ad assumere solo il Tegretol da 200 mg, ma 4 volte al giorno, fino ad aprile quando cioè mi presento di nuovo a Baggiovara perché sono lentamente peggiorato. In neurologia a Baggiovara agli 800 mg di Tegretol mi aggiungono Cymbalta 60 mg o Lyrica 75 alla sera (che avevo abbandonato) aumentabile a due cpr da 150 al giorno. In questo periodo nei momenti di crisi riesco a malapena a parlare e ancor meno a masticare. Anche per questo motivo decido di coinvolgere il dentista che dopo visite e panoramiche esclude che sia colpa dei denti, anche se la fitta che sento nella tempia parte molto spesso dalla mandibola quando la metto in movimento per parlare o masticare.
Il dolore appare molto spesso anche dopo piccoli movimenti o sfioramenti della fronte, del labbro e nel mio caso anche dei baffi; tutto questo fa scattare un male terribile quasi paralizzante e, come la prima volta , produce una forte lacrimazione all’occhio sinistro. La situazione è veramente infelice e nei momenti in cui arriva la scossa diventa impossibile un qualsiasi tipo di relazione. Anzi a questo punto ci si tende ad isolare sia per evitare qualsiasi contatto verbale che possa provocare le fitte lancinanti, ma anche perché ci si vergogna a mostrarsi in una situazione di grande “debolezza” cioè di vulnerabilità e quindi di inferiorità.
Questa è la situazione in cui mi trovo praticamente da due anni, con un dolore che si presenta in maniera diversa dal suo inizio. In particolare, da ottobre 2017 avverto una dolenzia costante che a seconda delle mie “provocazioni” aumenta di intensità fino a bloccarmi in qualsiasi situazione mi trovi, in attesa che mi passi il dolore, ma soprattutto che diminuisca e diventi sopportabile. In questi momenti, quasi come alla ricerca di una posizione “favorevole”, assumo con la testa delle posizioni e delle espressioni facciali a dir poco strane e sento nella mia tempia uno sfregolio come fossero due fili della corrente elettrica che si toccano. Anche nei momenti peggiori per fortuna mi è sempre successo che il dolore, ancorchè fortissimo (si dice da dover sbattere la testa contro il muro), duri fino ad alcune decine di secondi (che sembrano interminabili) seguiti poi da alcuni altri di libertà, ma sempre molto vigile perché in attesa di un nuovo attacco. Questo è un altro momento tosto perché ti costringe a rimanere nella stessa posizione: “tanto adesso torna” ed è meglio che sia pronto a riceverlo nella totale immobilità con la speranza che duri meno del precedente.
Ritorno al 2016 perché ha inizio un periodo intenso: dopo la visita di aprile a Baggiovara, al colmo della disperazione, ricordo benissimo, ne segue una in maggio a Sassuolo da cui esco con il mantenimento di Tegretol, ma un incremento di Lyrica e l’applicazione di Versatis cerotto sulla guancia. I contatti che intrattengo con questo medico (è lui che mi chiede di tenerlo informato) durano un paio di mesi poi, sostituita la carbamazepina con la oxcarbazepina (Tolep), mi suggerisce di andare da un luminare di sua conoscenza al Bellaria di Bologna. Dopo aver fatto un’altra RM in giugno che rileva: “tali reperti potrebbero configurare una situazione di conflitto vascolo-nervoso”, il 5 luglio del 2016 sono dal neurochirurgo indicatomi che dopo aver letto la mia storia molto serenamente mi manda a casa con questo responso: “può essere indicato intervento di micro decompressione vascolare” informandomi dei “rischi e benefici della procedura”.
Non pienamente soddisfatto dell’idea di un intervento chiedo un appuntamento alla neurochirurgia 3 del ben noto “Istituto Besta” di Milano dove arrivo in settembre per sentirmi dire che sarebbe “utile una consulenza presso il centro cefalee della stessa neurochirurgia 3”. Da questa visita torno a casa con una terapia variata che vede il Lamictal 50 mg in aggiunta al Tolep e alla Lyrica. Seguo comunque il consiglio e prenoto un’altra visita al “Besta” per il 13 ottobre. Per capire quale fosse la mia soddisfazione al rientro a casa sempre con il mio male al seguito basti dire che la dr.ssa, al termine della visita, mi ha fatto restituire l’intera parcella dicendo, dispiaciuta, che non aveva risolto il mio problema. Incredibile, ma vero! Comunque la signora mi toglie il Lamictal e mi fornisce il suo cellulare per un riscontro nel giro di un mese. Demoralizzato e sempre più convinto di andare avanti così allontanando anche l’idea dell’intervento, non mi farò più sentire dalla gentile ed onesta dottoressa di Milano.
A questo punto, su suggerimento di amici, in quel 2016 che fu anno pieno di “tentativi” cerco uno specialista in agopuntura. Senza tante aspettative mi sottopongo a 5 sedute presso una nota dottoressa e al termine la stessa, onestamente, ammette che forse non era la soluzione al mio problema.
Ma il persistere del dolore mi induce a tornare a Baggiovara pensando e sperando che magari la soluzione definitiva è proprio dietro casa. E qui in novembre, sempre del 2016, il dottore mi liquida scrivendo sul referto tutta la mia storia (come hanno fatto peraltro tutti i suoi predecessori) e concludendo che ” in caso di peggioramento clinico aumentare la dose di Lyrica a 150”.
Non ne posso più.
Questa è la mia ultima visita specialistica e, triste e sconsolato, concludo che nessuno (fatta eccezione per il Bellaria) ha individuato cure, sistemi “alternativi” o provvedimenti definitivi per restituirmi una vita un po’ più normale.
Ricordo che in tutti questi anni nessun medico ha risposto con chiarezza ai miei perché, ma sono sempre state fatte delle supposizioni e tirate delle conclusioni sulla scorta di quanto da me riferito nel corso delle visite. Ma forse è giusto così perché non sarebbe cambiata molto la situazione anche conoscendo il fattore scatenante di questo dolore: cambio di stagione, umidità, colpi di vento, freddo, ansia o affaticamento, stato di salute, ecc….
Quindi sono due anni che mantengo invariate le dosi di Tolep e Lyrica senza averne vantaggi di nessun tipo; a volte penso a cosa succederebbe se non assumessi tutte queste compresse.
E’ una magra consolazione, ma ho tante cose da fare per cui cerco di resistere e per fare ciò mi “invento” palliativi che si traducono in atteggiamenti strani. Come quello di chiudere gli occhi alla ricerca del buio totale o di quando mi viene da “sfidare” il male (ultimamente capita più spesso) cercando di opporgli la mia volontà e la mia resistenza al dolore. Questo desiderio mi viene soprattutto quando mangio e decido che invece di bloccarmi con il boccone ancora da deglutire mi sforzo di continuare a masticare per vedere “chi la vince” e se nella breve durata di questo mio atteggiamento si smorza l’ “alta tensione” che si scatena nella tempia.
Ma (quasi) sempre è una battaglia persa, mollo tutto, assumo strane posizioni, mi blocco e aspetto….
Tutto ciò che ho descritto vale per il periodo di maggiore crisi che non è sempre uguale e per fortuna non dura 12 mesi all’anno. Anche se quest’ ultima crisi è molto lunga (è iniziata in ottobre 2017) non tutti i giorni io sono messo alla prova; si alternano momenti di “libertà” ad altri, diciamo, molto faticosi. Ma anche i momenti di libertà nel corso della giornata richiedono pazienza sia da parte mia che di quanti mi stanno intorno. Perché tutti vorrebbero fare qualcosa per me, ma , ahimè, nessuno può interferire o darmi aiuto.
In questa situazione, se non cambia in fretta, sto maturando l’idea di sottopormi all’intervento chirurgico che mi hanno prospettato al Bellaria, soluzione che ho sempre tenuto lontano perché mi fa un po’ paura. Ma…
Tanti auguri.
Dopo i primi anni di “malattia” e l’assunzione di migliaia di compresse le mie aspettative di guarigione sono diminuite ogni qualvolta mi sono sottoposto a nuove visite che si concludevano semplicemente con un “cambio” di medicine. Devo dire che col passare del tempo, ma soprattutto dopo la visita al Bellaria speravo che alle sedute successive qualcuno mi dicesse seriamente: non c’è altra via che l’intervento. Quasi come, dopo aver compreso il mio stato, sostituirsi a me “costringendomi” a prendere quella decisione che avevo sempre cercato di evitare per paura. Perché per anni ho ho continuato a pensare che il male minore fosse sopportare il dolore. In queste visite, ma non sempre, mi sono state prospettate altre soluzioni meno invasive dell’intervento, ma senza garanzia di un risultato certo e definitivo. Le aspettative maggiori le avevo riposte nella prima visita all’ Istituto Besta poi alla seconda nella speranza che qualche “esperto” mi convincesse che l’intervento sarebbe stata la soluzione ai miei problemi.
Nel corso di questi dodici anni ho continuato a sperare che tutto si sistemasse da solo o che almeno i periodi bui, grazie alle cure, sarebbero apparsi sporadicamente. Mi stavo quasi rassegnando e abituando all’idea di convivere con il mio “conflitto” pur rendendomi conto che la quantità di medicine assunte avrebbe avuto sempre meno effetto sul dolore e, per contro, certamente danneggiato il mio fisico.
Ma senza farne una colpa a tutti i medici che mi hanno seguito con l’intento di aiutarmi e togliermi il dolore. Il paziente, in un caso come il mio, non ha molte strade da poter seguire e sono convinto che deve decidere qualcosa senza attendere troppo nella speranza….
A questo punto non farò ulteriori “ricerche” e pellegrinaggi per cui di fronte al dolore, alle limitazioni che questo mi costringe e al peggioramento della qualità della vita decido (finalmente) che è giunto il momento dell’intervento. Per questo vado a ripescare i documenti della visita al Bellaria, rileggo quanto scritto dal neurochirurgo e fisso un nuovo appuntamento con lo scopo di definire una data nella speranza di porvi fine.