Tutto iniziò alcuni anni fa con semplici analisi del sangue prescrittemi dal mio medico curante, nell’autunno del 2011. Le analisi evidenziarono alcuni dati alterati: valori alti di Globuli rossi, Piastrine, Ematocrito. Subito la dottoressa mi prescrisse una visita specialistica presso un ematologo del Policlinico di Modena. Questi, dopo una serie di altre analisi e accertamenti mi diagnosticò una Policitemia Vera con JAK 2 e V617 F.
Inizialmente il medico specialista, il Dott. M., mi prescrisse tre salassi da novembre poi ancora a dicembre. Anche nel 2012 e nel 2013 continuarono i salassi con buoni risultati di contenimento dei valori ematici nella norma.
Alla notizia alla positività di questa patologia, subito non rimasi particolarmente turbata, anche perché i medici tutti mi tranquillizzarono assicurandomi che poteva essere tenuta ben controllata con adeguati controlli ematici e salassi. Inoltre, tutti quanti, dagli infermieri ai medici, mi trasmettevano tranquillità chiarendo sempre con semplicità tutti i miei dubbi. Mi sentivo in buone mani, insomma, e pur sapendo che non sarei mai guarita, mi convinsero che non sarei morta di quel male.
Problemi legati alla mia tranquillità in proposito, nacquero quando si trattò di passare dalla “cura” portata avanti con semplici salassi, ad una cura un po’ più impegnativa: avrei dovuto cioè assumere giornalmente e per tutta la vita una pastiglia chiamata “oncocarbide”, la quale, mi spiegò lo specialista che mi aveva in cura, andava ad incidere sui mattoni che vanno a comporre il DNA. Quando sospettai che forse si trattava di una sorta di blanda chemioterapia, mi rispose che in un certo senso la si poteva considerare anche così. La cosa mi pareva ben diversa dagli antichi salassi. All’inizio mi ritrovai ad essere un po’ restia, o forse solo un po’ perplessa per cui, prima di accettare definitivamente la cura, volli consultarmi con la dott.ssa P., che essendo mio medico di base da tanti anni, e per la quale ho sempre nutrito profonda e totale fiducia, doveva avere l’ultima parola in proposito. Ero un po’ in ansia, anche perché ricordo che un medico mi disse che quel farmaco era ben tollerato, e che avrebbe potuto dare problemi solo dopo diversi anni. Mi ricordo che parlò di 10 anni. Ora, dopo un breve calcolo mentale, mi resi conto che consideravo i 74 anni una età ancora prematura per un fine-vita.
La dottoressa mi tranquillizzò e mi convinse che non potevo fare altro che accettare e che una volta abituatami alla “pillola quotidiana” , mi sarei trovata bene. Come infatti accadde.
Ma i miei problemi di salute non terminarono lì. Alla fine del 2014, arrivò il brutto. Anzi la catastrofe.
Era la fine di dicembre e mi stavo facendo la doccia quando massaggiandomi il seno col sapone, avvertii un piccolo nodulino sopra il seno destro. Lo screening mammografico, con risultato negativo, lo avevo fatto solo pochi mesi prima. Andai a controllare: Il referto era dell’aprile 2014, infatti, quello stesso anno.
Feci sentire il piccolo “sassolino” anche a mio marito che fu subito d’accordo con me di recarmi il prima possibile dal ginecologo di fiducia.
La diagnosi fu infausta e scioccante: una di quelle mazzate che non dimenticherai più. Alla sola ecografia, mi dimostrò quello che poi risultò essere la tremenda verità. Appena uscii dalla ginecologa, mi catapultai, anzi insieme a mio marito che da allora mi è sempre stato vicino, ci catapultammo allo screening mammografico di Modena che mi ha sempre seguito nel programma di prevenzione.
Da lì mi fissarono un appuntamento urgente, al quale andammo trepidanti, pochi giorni dopo.
Lo screening mammografico di Modena direi che è all’avanguardia nella prevenzione dei tumori al seno. Mi fecero una visita completa con mammografia ingrandita e mirata al punto specifico. Poi subito dopo venne l’ago aspirato. Quando andai a ritirare l’esito dell’ago aspirato già sapevo tutto, perché già me lo avevano preannunciato con tutti gli elementi che già erano in loro possesso. Ne vedono tante, e tutti i giorni che ormai vanno a segno sicuro. Carcinoma.
Subito, nel senso di immediatamente, telefonarono in senologia: un medico era pronto a visitarmi.
Così salii al secondo piano. Fui affidata alla dottoressa P. Ella lesse tutti i referti, mi visitò e mi inserì nella lista di coloro che dovevano essere operate. Prima però mi spiegò che sarebbe stato opportuno verificare i linfonodi, ed estrarre il linfonodo sentinella per assicurarmi che il male non si fosse esteso. Dopo tutti gli esami preliminari, mi fu fatto il prelievo del linfonodo sentinella il 28 gennaio, in Day Hospital.. Sezionato ed analizzato, il linfonodo risultò pulito. Quindi non sarebbe stato necessario intervenire sul cavo ascellare. Il carcinoma da esportare era di un centimetro. La sezione da togliere era la cosiddetta quadrantectomia. E così fu.
Fui operata il 25 febbraio, ovviamente preceduta da tutti gli accertamenti previsti per questo tipo di intervento. Degenza: due giorni. Fui spedita a casa ancora col sacchetto del drenaggio al fianco. Ma non me ne dispiacque. Dormii nel mio letto, accanto a mio marito. Non me ne dispiacque anche perché mi resi conto che ero tuttavia seguitissima: ogni pochi giorni ero all’ospedale in day Hospital per le visite di controllo e le medicazioni di routine che si fanno in questi casi. In definitiva non mi sono mai sentita abbandonata.
Poi mi fu dato il referto definitivo: diagnosi e terapia. Carcinoma maligno sì, ma non dei più aggressivi. Me la sarei cavata con trenta sedute di Radioterapia e una cura a base ormonale da protrarsi per 5 anni. Ricordo che ogni volta che accennavo all’altro mio problema di policitemia (cioè se non ci fossero interferenze di sorta) venivo immediatamente interrotta: già sapevano tutto. Già si erano messi in contatto e avevano chiarito tutto quello che c’era da chiarire.
Terza botta: Verso la fine della radioterapia, andai dalla dott.ssa P. e quasi per caso le mostrai un neo che mi pareva anomalo, nei contorni e nel colore. Lei lo osservò con la lente di ingrandimento, e quando io, con ansia, chiesi: “Non sarà un melanoma?” lei mi suggerì un’altra visita specialistica, questa volta in dermatologia. Era un melanoma. Da togliere. Ero demoralizzata. A questo punto mio marito fu fondamentale, tanto che quando tornai da Maria Stella (ormai siamo amiche), la meravigliai per il mio sangue freddo, stavo affrontando le mie vicissitudini esemplarmente. Mi tolsero in anestesia locale e ambulatorialmente, soltanto il neo malato, ma siccome l’esame istologico o citologico diede esito infausto, dovettero ritagliare e togliere una massa più grande per essere sicuri di estirpare per bene tutto. Anche in questo caso i linfonodi inguinali risultarono essere, fortunatamente, puliti. Ma in questi casi, mi parlarono di possibili recidive, per cui d’ora in poi avrei dovuto tener sempre controllata le pelle con regolari Videomicroscopie ed evitare il sole, con creme ad alta protezione ecc.
Ora che ho fatto anche questa (ho tolto i punti proprio ieri), mi trovo ad essere serena e tranquilla. Perché? Sono una incosciente? Ho fatto il callo, come si suol dire? Perché non mi sento particolarmente in ansia? Oggi la dottoressa mi ha fatto alcune domande: ci sono state persone che mi hanno aiutato? Qualcuno che mi è stato particolarmente vicino? Chi o che cosa ha influito positivamente, nonostante tutto ciò che mi è successo?
Certamente sì. Mio marito, i miei nipotini, la mia famiglia in genere. Anche molti amici mi sono stati vicini, e hanno saputo farlo con tatto e intelligenza, senza interferire troppo con i miei sentimenti più intimi, senza pietismi e senza porre le solite prevedibili domande. Hanno saputo sentire ciò di cui avevo bisogno: non solo a parole, ma con una vicinanza solidale e condivisa. Con attenzioni discrete e mai invasive.
Gabriele poi, mio marito, ha fatto come da parafulmine, non so se si intende il senso. Ha saputo ascoltare tranquillizzandomi come ha potuto.
Anch’io, da parte mia ho dovuto operare delle scelte: le amiche a cui potevo confidare tutto, quelle a cui potevo accennare solo qualcosa e quelle a cui non ho detto nulla. Se poi ci sono stati dei canali sotterranei per cui alla fine tutti sapevano di tutto, quello non l’ho percepito, ma non importa. Importante per me è essere riuscita a creare intorno a me un clima il più possibile condiviso e sereno. Lo so, è stato un po’ selettivo, come procedimento, ma non sono il tipo che prende il megafono e sbandiera ai quattro venti i propri mali. Naturalmente ho sentito più vicine quelle che come me hanno subito un carcinoma maligno al seno. E ce ne sono tante, voi lo sapete. Bene, condividere un’esperienza come questa ti aiuta tanto. Ci si scambiano sintomi, dubbi, pareri; e pur essendo ben consapevoli che ogni persona malata è un caso a sé, si ha il conforto della condivisione, e vedere che molte ce la stanno facendo o ce l’hanno fatta, aiuta molto. Non voglio dilungarmi perché si potrebbe scriverne un libro.
Ma poi riflettendo con un po’ più di attenzione, devo riconoscere che tante altre persone mi sono state vicine. Tutti coloro con cui sono venuta in contatto durante le mie malattie, nell’ambiente ospedaliero, nei tanti ambulatori attraverso cui sono passata, tra medici, infermieri, personale paramedico. Se ci penso non ho incontrato una sola persona scortese o sgarbata. Anche negli incontri fugaci e superficiali, anche senza conoscerne i nomi, queste persone mi sono passate accanto con garbo, con cortesia. Per non farla troppo lunga, posso riassumere così:
Ho sempre avuto queste certezze:
. Sulla mia malattia, i medici mi hanno sempre detto tutto in modo chiaro e semplice con una sorta di tranquillità che si trasmetteva a me.
. Quando mi facevano i salassi mi dicevano passo passo cosa stava per succedermi
. Non mi hanno mai nascosto nulla.
. Mi hanno sempre dato tutti i chiarimenti che chiedevo, con disponibilità e senza reticenze.
. Medici e infermieri hanno sempre dimostrato una professionalità sicura, accompagnata da gentilezza e tatto.
. Uno dei loro scopi è farti capire che sono lì per te
. Si sono impegnati a prenderti e ad accompagnarti in un percorso di cura cercando di farti sentire sempre a tuo agio. Ricordo particolarmente l’anestesista che mi addormentò quando mi operarono al carcinoma. Non so come si chiamava, ma vedo i suoi occhi prima di affondare nel nulla.
. Non so se la dote maggiore della mia oncologa sia la dolcezza o la schietta professionalità…
. Mi sono sentita una persona da accudire e da curare. Soprattutto quando ricevevo le telefonate a casa dall’ospedale, per ricordarmi un appuntamento o per uno spostamento d’orario, scusandosi sempre per aver disturbato….
. Non mi è mai mancato il senso di dignità che una persona deve avere anche nei momenti fisicamente più “delicati”.
. Ad ogni fine seduta di radioterapia mi sostenevano e salutavano come un’amica e sempre mi chiedevano se alzandomi mi girava la testa-
. Nella notte dopo l’intervento, mi sentivo agitata, avevo un po’ di tachicardia. Ero in ansia perché avevo dovuto sospendere la pillola di onco carbide da due settimane e temevo che l’ematocrito fosse salito. Bene. Lo dissi all’infermiere. Dopo circa venti minuti mi vidi arrivare in camera il medico del turno di notte: mi veniva a tranquillizzare dicendo che mi avevano fatto gli esami del sangue e che tutto era nella norma. Si scusò perché non mi avevano avvisato prima! Questa è sollecitudine. Mi tranquillizzai e mi addormentai.
. Alcune parole chiave che mi son sentita ripetere:
. Senza fretta. Con calma. Tranquilla. Ci siamo noi.
. Altra persona importante che mi ha aiutato tanto: il medico di base. Il quale riveste una posizione cruciale di fiducia e di sostegno. Affianca lo specialista con la sua professionalità e competenza, e affianca il paziente con quella forma di vicinanza quasi amichevole di chi ti conosce e ti comprende. Mentre gli altri passano, lei è un punto di riferimento stabile.
. Ho notato pure come i vari medici delle varie specializzazioni siano ben collegati e quando necessario, comunichino tra di loro: è facile, oggi col computer, d’accordo, però ti senti tutelata quando loro ti dicono subito tutto quello che sanno su di te.
Potrei aggiungere tanti altri esempi di aiuto, solidarietà o di buona sanità, che per quel che mi riguarda, nei vari reparti di oncologia, ematologia, dermatologia attraverso cui sono passata, non ho potuto fare a meno di osservare ed apprezzare. E vorrei ringraziare tutti personalmente. So che molti sono piuttosto critici sulla sanità pubblica, ma io vorrei dire che ci sono anche tanti esempi di ottimi medici, ottime strutture, ottime persone che lavorano bene, in silenzio, senza far rumore. Ma solo chi ci è passato può aver visto.
Quindi anch’io dovevo fare la mia parte: avere il buon senso di riconoscere tutto quel che si faceva per me e avere il dovere morale di essere un po’ più coraggiosa ed affrontare da adulta, quasi anziana, ciò che la vita riserva: Le cose belle (e ne ho avute tante) , ma anche le avversità, che non risparmiano nessuno. E’ una banalità, ma è vero.
C’è un’ultima cosa, di cui peraltro devo chiedere spiegazione alla mia dottoressa.
Sono una lettrice assidua, leggo tra i due o tre libri al mese. Un po’ di tutto: narrativa, saggistica, autobiografie, gialli. In quest’ultimo inverno ho letto molto. Ma a differenza delle mie amiche che leggevano frasi su frasi, senza capir nulla, perché il tarlo della malattia era sempre lì a distrarle, io ho velocemente acquisito la capacità di concentrarmi, di estraniarmi dai miei problemi e di immergermi completamente nelle storie che stavo leggendo, che non erano proprio leggere o di evasione, anche se scritte in modo coinvolgente e sempre interessante. Questo, oltre che arricchirmi ulteriormente (come ogni buon libro fa), mi ha aiutato a portare la mente altrove, a farmi riflettere su diversi aspetti dalla vita. Anche questo mi ha aiutata molto.