Per quanto cerchi di andare indietro nei ricordi, non riesco a trovare un periodo della mia vita privo della sua compagnia. La sua natura? Quasi certamente non allergica, dato che vari test fatti in età adulta hanno sempre dato esito negativo. Forse genetica, dato che mia madre e una delle sue sorelle lo erano.

Il mio pediatra era lo storico prof. Leopoldo Rossi; ricordo ancora i nomi dei farmaci che mi prescriveva: Aleudrin gocce e Antiasmatico Savoma, suffumigi con pentolone di acqua calda e bicarbonato e pappine (impacchi) di farina di lino da applicare bollenti sulla schiena. Da piccolo non ho mai usato il cortisone se non per un brevissimo periodo su prescrizione di uno specialista. Durante una vacanza a Ortisei (avevo 8 anni) ebbi naturalmente una delle mie solite crisi e un medico mi fece scoprire le pompette che riempivo con alcuni ml. di Sindreco (a base di adrenalina, credo) e mi davano un sollievo immediato. La pompetta fu mia inseparabile compagna per molti anni. La tenevo nella tasca della giacca o della camicia avendo cura che fosse ben dritta perché il prezioso liquido non si rovesciasse. Un altro farmaco efficace che usavo nel periodo adolescenziale era il Tedral (sempre un beta-adrenergico pirbuterolo) che funzionava piuttosto bene pur provocandomi delle considerevoli tachicardie e un senso di spossatezza. Me lo feci prescrivere anche a Londra dove, nei primi anni ’60, era già in vigore il Servizio Sanitario Nazionale. Mi ero faticosamente preparato un bel discorsetto in inglese sulla mia storia da fare al medico ma, dopo una lunga fila in ambulatorio, non tentò nemmeno di ascoltarmi e mi congedò in due minuti con la ricetta di Tedral (che fortunatamente anche in Inghilterra si chiamava così) e che, in fin dei conti, era quello che volevo. Venne poi il periodo delle teofilline che usai in abbondanza, dei cortisonici spray e del Ventolin e similari che ebbero il merito di farmi dire addio alla pompetta. Dai 20 ai 40 anni ebbi anche l’ idea di cominciare a fumare anche perché, nel circolo dove giocavo a carte 3 volte alla settimana, tutti lo facevano. In quel periodo il mio medico di famiglia era il compianto dottor Milanti di cui conservo un ottimo ricordo, anche se poteva dedicarmi il tempo consentito ai massimalisti da oltre 3000 mutuati. C’era chi arrivava a 5000. Alla sua morte scelsi la dott. Padula. Avendola da poco conosciuta come informatore, mi aveva fatto un’ottima impressione per la serietà e professionalità oltre al vantaggio di avere l’ambulatorio vicino a casa mia. Nonostante l’ottimo medico, il periodo dai 40 ai 55 anni fu il peggiore per me. Avevo smesso di fumare e anche di andare al circolo ma la mia dispnea assunse dimensioni spaventose con apnee totali, tanto che cominciai a frequentare periodicamente il day hospital della pneumologia e i boli di Urbason facevano miracoli. Andavo lì alle 8 del mattino, flebo e ogni tanto visitina, poi andavo a lavorare. Mi seguivano soprattutto la dott. Capitolo e successivamente, il dott. Roversi. Benefici temporanei però; infatti una notte dell’estate del ’94, completamente senza respiro, persi conoscenza e mi risvegliai al policlinico dove rimasi 20 giorni in compagnia di gente nelle mie condizioni o peggio. Il tempo, nella stanza da 6 letti, trascorreva meno peggio di quanto si potrebbe immaginare, infatti, a differenza di altri, riuscivo a dormire molte ore e ascoltavo musica con le cuffie. La cucina poi era meglio di quanto mi aspettassi. Nel frattempo il cortisone, al quale farei comunque un monumento in Piazza Grande, aveva manifestato anche i suoi aspetti meno positivi e in due anni fui operato di cataratta e glaucoma in entrambi gli occhi. Negli ultimi dieci anni, fortunatamente, la mia asma sembra dar segno di maggiore stabilità e, con l’aiuto della mia dottoressa, riesco a controllarla, pur con alti e bassi, senza grosse difficoltà, con una terapia di Pulmaxan 400, Ombrez, qualche ciclo di Deltacortene e, al bisogno, una spruzzatina di Dosberotec che non riesce più a broncodilatare come un tempo, ma anche io non sono più come un tempo.

Il mio rapporto personale con l’amica asma non è mai stato troppo conflittuale. Ho fatto tesoro di un detto che mio padre ripeteva abbastanza spesso: ‘quando non ce n’è se ne fa a meno’. Era detto con riferimento al QI all’intelligenza, ma si adatta anche alla mia situazione, nel senso che bisogna accettare il fatto che certe cose non si possono fare. Ce ne sono tante altre che possono riempirti ugualmente la vita.