Siamo in silenzio, mia sorella ed io, in attesa che lo specialista dall’altra parte della scrivania, mi riveli cosa sta accadendo al mio corpo. Si perché nonostante i miei 18
anni, il mio corpo parla come mai ha fatto fino ad allora: le mani al mattino sono rigide e dolenti, le ginocchia rosse e calde. L’estate appena trascorsa in compagnia di care
amiche, è inaspettatamente segnata da questo malessere anche se, l’energia dell’età e l’entusiasmi degli animi, offuscano la preoccupazione. Poi l’estate finisce ma il
dolore continua; stanca e preoccupata giungo in questo studio fiorentino, con la speranza di ricevere una cura specifica e … dimenticare in fretta.
“Lei ha un’artrite reumatoide” sentenzia il medico, “ inizierà una terapia che ridurrà i sintomi, ma non guarirà”. Un’artrite ci sta, ma reumatoide? Cos’è, che termine irriverente e malvagio. Rimango lì impietrita e penso non si tratti di niente di buono. Le lacrime trattenute per la tensione scorrono veloci sulle mie guance giovani e lisce. Il cuore si ferma, il respiro si spezza, avverto un pugno nello stomaco. Esco dallo studio come sospesa con il pensiero che va ai miei sogni, quelli presenti e quelli ancora chiusi nel cassetto; e un
grido profondo. Perché, perché a me, perché adesso!!! E ora che accade? Da quel momento inizia il mio lungo viaggio con l’inseparabile malattia. Malattia che ha segnato la mia vita lasciando cicatrici dentro e fuori di me. Malattia che è entrata nella mia vita senza bussare e senza chiedere il permesso.
La definiscono una patologia cronico-degenerativa: cronica perché ti accompagna sempre e degenerativa perché ti cambia.
È vero la malattia mi ha cambiato, ma non ha impedito l’avverarsi di quei sogni giovanili, non mi ha impedito di sognare ancora, seppure spesso il presente mi ha travolta impedendomi di fare progetti, di vedere lontano, perché cambia la prospettiva.
Ho lottato è vero, ho lottato contro l’ignoranza, il pregiudizio, la commiserazione, ho lottato con forza contro questo male che ti prende e ti distrugge lentamente, ho
lottato e lotto ogni giorno pur vivendo la malattia con rispetto, perché non è solo un’intrusa da combattere, ma è qualcosa con cui scendere a patti.
Nel tempo della diagnosi mi sono diplomata infermiera ed ho sempre praticato questa professione, che amo profondamente: certo ho dovuto modificare aspettative ed
aspirazioni, ma questo mi ha permesso di sperimentare nuovi ed interessanti ambiti di applicazione che mi hanno consentito di crescere e specializzarmi. Anche in questo
la malattia mi ha cambiato; ha plasmato in me il significato della cura, mi ha necessariamente collocato in una duplice prospettiva, quella del curante e quella del
curato. Quest’ultima ha messo in luce situazioni che mi hanno fatto comprendere l’importanza dell’essere Infermieri, il valore della presa in carico, la potenza della
relazione nella cura. Per questo nel mio percorso di paziente faccio memora e conservo premurosamente gesti e posture attente, silenzi opportuni, parole che guariscono, tocchi, sguardi che mi hanno curato e sanato.
Cosa mi ha tolto, cosa mi ha dato la malattia: tanto.
Ma volontà, vigore, determinazione sono alcuni aspetti di me che in questo tempo mi hanno tenuta in piedi e sorretto, insieme all’amore che ho ricevuto (tanto) dalle
persone che hanno reso la mia vita migliore: il mio uomo, i miei figli, la mia famiglia. Non so come sarei stata senza essermi ammalata, ma so che oggi mentre scrivo questa storia, mi osservo e penso di essere una persona fortunata e amata. Nella danza della vita capita di cadere, di oscillare, di rialzarsi, ma poi si torna come prima a ballare.