Ho 58 anni e sono venuta a contato con la “malattia incurabile” in questi ultimi 2 anni.

Sembra una frase stupida, ma fino al 2016, ho vissuto tutto quello che concerne le gravi malattie con un certo distacco e paura.

Sì, paura della gestione giornaliera del dolore, non che la vita mi avesse fatto mancare le occasioni…una amatissima zia; una suocera; amiche uscite prematuramente dalla vita; ma la morte di mia madre e il suo percorso è stato pesantissimo.

La paura di rivivere determinate situazioni di sofferenza quotidianamente, il cercare di tutelare le persone a te più care dalla cruda realtà, dall’impotenza, dall’elaborazione del decorso traumatico a cui non si è mai preparati è stato pesante e ancora oggi emotivamente mi pesano le scelte fatte.

La storia di mia mamma si perde un poco nei ricordi di lunghe chiacchierate dove cerchi di assorbire le tue radici. Bambina amata da un padre morto prematuramente, la sua storia clinica è segnata da frequenti problemi fisici polmonari, fragilità infantile, una prima gravidanza con infezione post- parto che porterà all’asportazione di un ovaio e parte dell’utero; una seconda gravidanza, cercata caparbiamente a dispetto del parere ginecologico, a cui seguirà un aborto di un feto extrauterino mentre il gemello avrà un decorso regolare. I pesanti lavori iniziati in tenera età la portano a una serie di gravi discopatie a cui seguiranno due interventi a distanza di anni: l’ultima ernia discale diagnosticata oramai in età avanzata non permetterà di subire intervento clinico. La menopausa la porterà poi a dover subire ripetuti “raschiamenti” e al peggioramento della circolazione degli arti inferiori con asportazione di una safena e una insufficienza venosa tale da causare la formazione di ulcere, a volte complicata da vere e proprie emorragie.

Nel 2015 subisce un intervento all’anca che le procurava un forte dolore ormai non più gestibile con terapia farmacologica. La sua circolazione peggiora e fra la fine del 2015 e inizio 2016 mamma viene ricoverata per infarto polmonare in terapia intensiva. Iniziano due anni dove mamma alterna cicli di benessere a repentine infiammazioni polmonari a volte con brevi ricoveri per riequilibrare i suoi parametri.

La gestione quotidiana viene influenzata da questo andamento ad S. Mio padre, più grande di mamma di 4 anni, ha un carattere ombroso e chiuso, quando mamma sta bene si litiga, non la si aiuta, si pretende, quando mamma sta male, scatta la paura e la domanda ricorrente: “ Quando viene a casa ?” “Ma torna come prima?” “ Solo che stia bene” ecc.

Tu corri, telefoni, cerchi di sopperire, di trovare le risposte e le soluzioni; affronti con la fredda logicità le varie situazioni, a volte ti accorgi che si invertono i ruoli e riprendi i tuoi genitori. Quando sei sola però ricordi le parole del medico in terapia d’urgenza che, ad ogni ora, ti ricorda che: “potrebbe non farcela”.

Arriviamo cosi a Dicembre 2017 dove, purtroppo, mamma viene di nuovo ricoverata: sta male. Lei piange, ha paura e tu incalzi e la porti in ospedale.

Dopo ore di astanteria in Pronto Soccorso e varie visite, viene ricoverata. Lamenta difficoltà respiratoria, aritmia, arti inferiori arrossati e pesanti. Poi quella pancia gonfia, la difficoltà a digerire, la stitichezza cronica che si è acutizzata. Lontano il pensiero che lì, alla coda del pancreas, si annida un nemico infido.

Vieni chiamata e il primario, un medico gentile, cerca le parole giuste e ti dice “ Signora la sua mamma ha un tumore al pancreas. “ Tu rimani annichilita e chiedi: “Scusi, ma non ha una recidiva al Polmone? No, guardi, forse non capisce, la mamma ha avuto un infarto polmonare, è da un po’ di tempo che ha problemi di stomaco.”

“NO signora sua mamma ha un tumore doloroso e veloce” ripete lapidario il primario.

E tu ti esterni, il tuo cuore si veste di ghiaccio, e cominci a snocciolare richieste e domande. Hai tutte le risposte dai medici, ma con chi ne parli. Quelle paure ataviche sul dolore, sull’impossibilità di gestire le situazioni, la mancanza di conoscenza, sulla gestione di una persona allettata. Decidi e chiedi che venga dimessa senza metterla a conoscenza delle sue reali condizioni. Intanto lei ti dice “In questo reparto ricoverano solo quelli che debbono morire. Anche io ?” e tu neghi e te la porti a casa.

Chi se non il medico di mamma, può ascoltare il tuo delirio lucido e consapevole del conto alla rovescia , il medico di famiglia, che negli anni è diventata più un’amica di famiglia, che un medico. Quella che c’è sempre, che conosce tutti i tuoi cari.

La incontri e le dici “AL PRIMO ACCENNO DI DOLORE MAMMA LA RICOVERIAMO, NON INTENDO CHE SOFFRA , TI RICORDI LA ZIA (SORELLA DI MAMMA), ANCHE IN OSPEDALE HA SOFFERTO E IO NON ME LA SENTO DI VEDERLA SOFRIRE. SI’, TI PREGO, LA RICOVERIAMO. IL PAPA’ NON PUO’ AFFRONTARE A CASA TUTTO QUESTO!! “

Lei ti ascolta, ti asseconda, ti fa riflettere su tua mamma e su quanto ami la sua casa, le sue abitudini, la sua quotidianità e poi ti tranquillizza e ti dice “Adesso abbiamo un’altra via”.

Ho conosciuto l’Assistenza domiciliare. Un supporto indispensabile. Seguita da soltanto due infermiere e dal suo medico curante nella sua casa, l’Assistenza Domiciliare delle Cure Palliative ha permesso a mamma di sentirsi avvolta e a contatto con le sue amate cose. Mi ha trasmesso alcune ricette di cucina, mi dato i suoi quaderni, mi diceva dove erano le cose. Mio fratello, mio figlio si sono sdraiati con lei, i miei nipoti l’hanno coinvolta nei loro giochi: Lei li ha salutati in serenità. Perché mamma aveva capito e si preparava, a suo modo, a salutarci.

Insieme, lei sulla poltrona io ad organizzare il Natale . E la sera nel letto chiedi che passi il periodo Natalizio, che ti vengano lasciati gli ultimi ricordi. Lei sempre più gialla che, stoicamente, legge dentro di te e combatte, vuole quel Natale , quella festività del primo dell’anno.

Organizzativamente la presenza giornaliera e costante del personale infermieristico e del medico curante ha dato più serenità e una continuità terapeutica, dove anche noi famigliari ci sentivamo coinvolti e partecipi. La possibilità di un monitoraggio continuo, con prelievi a domicilio, consegna dei farmaci e le varie somministrazioni, ci dava sollievo.

L’incontro giornaliero era diventato, per mamma, un momento di condivisione; l’offerta del caffè un rito.

Ma il conto alla rovescia inesorabile. La scelta di passare al dosaggio più alto degli oppiacei e del farmaco che l’avrebbe definitivamente addormentata rende l’organizzazione pesante emotivamente. Passi la notte in ascolto. E tu che conosci mamma alla sua richiesta di andare in bagno e nella tua impossibilità di portarla. Ti accorgi che anche supplicandola di liberarsi perché ha il pannolone, la sua risposta è l’ennesima richiesta del bagno. Tu la sollevi di forza in piedi, ormai è un peso morto, ma il sollevamento e la forza di gravità aiutano. Ma la richiesta continua e il secondo giorno all’ennesima supplica, stremate entrambe, si chiama il medico e si chiede “per favore vieni ad inserire il catetere? “Telefoni a tutte le farmacie, ti aiuta tuo figlio, internet, per capire quella di turno che ne può avere uno. E finalmente riesci e ti accorgi quanto la sua supplica fosse motivata.

Il medicinale comincia fare il suo lavoro e tu la vedi essere sempre più stanca, ma sofferente, ti chiedi quando, sarà: domani, fra due giorni, fra tre. Ma non ha più fame, ti chiede solo di riposare, ti abbraccia, abbraccia tutti è il suo modo di salutare.

Mamma si spegne il 10 gennaio 2018.

In tutto questo, vi ho parlato poco di mio padre. Mio padre che alla morte di sua madre andò in depressione , anche se malata e allettata per 10 anni, non si rassegnava alla perdita, come sopporterà tutto questo adesso? Io, mio fratello e mia madre a preoccuparsi per eventuali gesti inconsulti. Non vuole abbandonare mia mamma e vuole dormire con lei, non la abbandona mai, l’unico sollievo è l’assistenza domiciliare e una signora che ci aiuta nei lavori domestici. Mio Padre giorni dopo il funerale mi ha detto: “sai, dopo mesi, questa notte ho dormito”.

A volte ho ancora sensi di colpa e mi chiedo se ho fatto la scelta giusta, poi guardo mio padre che è sereno: la ricorda con affetto, i miei nipoti, mio figlio, mio fratello sentiamo tantissimo la sua mancanza era una gran persona, ma l’abbiamo vissuta fino agli ultimi attimi.

Tante cose si possono ancora scrivere e sicuramente ripercorrendo la mia esperienza avrò tralasciato dei punti importanti.

Cosa ho imparato : che, se conosci la realtà, il decorso che la malattia può avere e trovi il sostegno dei professionisti puoi dare una morte dignitosa fra le mura della casa ai tuoi cari. Le sue cose ti sono di sostegno e l’asettica stanza d’ospedale resta lontana. Vinci la paura e ti rendi conto che è un processo naturale e, come tale, va affrontato. L’assistenza domiciliare ti permette di vivere la malattia in modo umano e ti crea ricordi, anche nella criticità, fondamentali per l’elaborazione del lutto. Un processo a volte difficile e traumatico.

Cosa vorrei migliorare: vorrei che il personale riuscisse ad ascoltare e sostenere anche il famigliari, soprattutto quando sono persone anziane. Un maggiore ascolto di alcuni parametri: spesso le lamentele e le richieste che fanno sono il segnale di un disagio fisico (la pipì di mamma avremmo potuto inserire il catetere giorni prima, e avremmo evitato due giorni di sofferenza).

Cosa vorrei trasmettere: vorrei dare maggiore evidenza a questa opportunità: quando ne parlo, spesso, mi si rivolgono le classiche domande: “ma è un forma di eutanasia?” “ ma la possono avere tutti?” “ Come funziona ? “ Mi piacerebbe che molti medici si svincolassero dai protocolli clinici ospedalieri indirizzando e soprattutto tranquillizzando i pazienti e i famigliari su questo percorso.

Vorrei che i medici di famiglia si riappropriassero del loro ruolo “MEDICO DI FAMIGLIA “ DELLA FAMIGLIA NON DELLA MALATTIA. La centralità del paziente e della sua famiglia.