Narrazione di Massimo, realizzata nell’ambito del Corso di perfezionamento in Metodologie didattiche per l’insegnamento della medicina con i pazienti formatori

Le Undici Pillole di “Saggezza” delle mie patologie

Le origini della “saggezza”

Fin da bambino ho sempre sofferto di problemi legati al metabolismo. Il segno più evidente era l’aspetto fisico: ero e sono sempre rimasto sovrappeso aiutato però da una discreta altezza.

Durante la crescita questo disturbo non ha apparentemente inciso più di tanto sul mio stato di salute, a parte le prese in giro da parte dei coetanei e l’incunearsi nella mia mente del conseguente senso di disagio per il mio aspetto fisico. Nonostante questo, però, ero fisicamente prorompente, giocavo alla pari e a volte meglio degli altri ragazzini, insomma il fatto di essere un piccolo obeso non mi ha condizionato più di tanto. Finite le superiori decisi di intraprendere la carriera militare entrando nell’Accademia Militare di Modena. Superai i test e le visite mediche, gli accertamenti psico-attitudinali e le prove di cultura previste dal bando di concorso. Il 16 ottobre 1978 varcai il portone del palazzo ducale e iniziai la mia professione di soldato.

Le prime tre pillole di “saggezza”

Durante la mia carriera non ebbi particolari problemi di salute fino all’anno 2000. Fui inviato per sei mesi in missione di pace in Bosnia nella martoriata città di Sarajevo. Nel frattempo mi ero sposato (1989), nel 1994 era nato Marco e nel 1999 era nata Maria. Uno dei migliori sistemi per mantenere l’equilibrio psicofisico e attenuare gli effetti dell’accumulo dello stress dovuto ai lunghi mesi di distacco dalla famiglia operando in territori più o meno ostili, è quello di costruirsi delle routine giornaliere che aiutano a far trascorrere il tempo. Tra queste routine c’è la pratica costante dell’attività sportiva che io svolgevo con regolarità a Sarajevo (a parte il jogging, esisteva un’ampia palestra sempre disponibile). Anche se il mio peso corporeo non era diminuito a sufficienza, la mensa era ben fornita, mi sentivo bene e in forma. L’unico problema era che soffrivo di ricorrenti mal di testa che curavo con l’assunzione di semplici aspirine. Rientrato a Modena, dove nel frattempo mia moglie ed io avevamo stabilito la residenza, mi recai dal mio medico di famiglia, che mi prescrisse una serie di esami e analisi. Il risultato era che soffrivo di ipertensione arteriosa, probabilmente ereditata dalla famiglia di mia madre. Ovviamente, sulle prime, ci rimasi male, ma poi, anche con il prezioso consiglio e sostegno di mia moglie, compresi che questa patologia si poteva affrontare e curare in modo semplice adottando alcune facili precauzioni. Iniziai ad assumere, con assoluta disciplina e precisione, i farmaci che mi erano stati prescritti allo scopo di mantenere i valori pressori di minima e massima entro quelli canonici: le prime tre pillole.

Quello che non affrontai con impegno, purtroppo, fu di cambiare radicalmente stile di vita con particolare riferimento al consumo responsabile dei cibi e ad una rinnovata e regolare pratica dell’attività fisica. Per contro, da quei giorni ad oggi, non ho mai avuto problemi di sbalzi di pressione assumendo i farmaci quotidianamente: in pratica, caddi nel pericoloso equivoco ben rappresentato da questa frase: “individuata la patologia, trovata la cura, effetti positivi, mi sento bene = continuo tutto (o quasi) come prima”. Vi prego di tenere a mente questa considerazione perché avrà pesanti conseguenze nel prosieguo del mio racconto.

Intanto la mia carriera professionale progrediva. Di comune accordo con mia moglie decidemmo di lasciare che lei e i bambini vivessero a Modena anche quando io ero trasferito per servizio in altre località. Questa decisione aveva comunque il risvolto negativo di sottoporre tutti i membri della famiglia allo lo stress dovuto alle reciproche assenze, ai ricongiungimenti frenetici nei week end e ai successivi distacchi, ma mia moglie ed io ritenevamo che fossero comunque inconvenienti di minore impatto rispetto a quelli conseguenti a frequenti cambiamenti di residenza, scuole, amici, ecc.

Nei primi mesi del 2003 fui inviato per la seconda volta in missione per sei mesi a Kabul, in Afghanistan. Con la complicità del medico di base dott. M. e delle simpatiche farmaciste della Comunale di Modena est, feci le scorte dei farmaci per 270 giorni (perché se è certa la data di partenza per il teatro operativo – così si chiamano i territori oltremare nel lessico militare – non altrettanto lo è la data del rientro: spesso si sforano abbondantemente i 180 giorni previsti) e le misi nel mio bagaglio.

Kabul si trova a 1680 s.m.l. e il periodo che vi trascorsi fu abbastanza movimentato (scoppio di missili, razzi, attentati con esplosivi, ecc.) ma ebbi la fortuna di non rimanervi mai coinvolto. Il periodo in cui mi trovai in quelle terre coincise con i mesi in cui iniziò la seconda guerra della Coalizione occidentale contro l’Iraq di Saddam Hussein, ma l’Afghanistan è decisamente lontano da quei territori e i sei mesi di permanenza a Kabul tutto sommato trascorsero in relativa calma, nulla a che vedere con la situazione che si creò in quel paese negli anni successivi.

La mia vita nella base di Kabul vedeva l’alternanza dei turni di servizio in sala operativa e l’effettuazione dell’attività fisica: allenamento in quota con anche piccola perdita di peso. A volte l’unica giornata di relativo riposo durante la settimana era lunga e faceva caldo. Uno dei passatempi preferiti erano delle sfide a volley fra noi italiani e gli olandesi. Evidentemente esposi inconsapevolmente la mia pelle ai raggi solari di quelle altitudini.

Io sono il classico normotipo biondo-rossiccio con pelle chiara e numerosi nei sparsi abbondantemente su tutto il corpo. Quest’ultimo particolare risulterà determinante per uno dei prossimi “colpi di scena”.

Al termine della mia semestrale missione in Afghanistan, fui fatto rientrare precipitosamente in Italia per essere destinato a diventare comandante di un reggimento di stanza a Roma.

Era un incarico importante, di grande responsabilità. Mentre svolgevo questo compito sulla fronte del mio viso si erano sviluppati due nevi sui quali incideva proprio il bordo del berretto dell’uniforme. Chiesi all’ufficiale medico del reparto di richiedere al dermatologo dell’ospedale militare del Celio di Roma di asportarmeli.

Il dermatologo fu molto gentile e premuroso con me, mi visitò e disse che l’asportazione dei due nevi dalla fronte sarebbe stato un intervento senza particolari problematiche.

Il caso volle che in quella sede mi ricordai che a mia madre, molti anni prima quando ero un giovanissimo ufficiale, venne diagnosticato un melanoma maligno al centro della schiena che fu asportato in tempo tanto che poi lei sopravvisse fino all’età di 88 anni.

Il dermatologo mi mise sul lettino e, solo con l’ausilio di una lente di ingrandimento e una lampada, ispezionò uno a uno tutti i numerosi nei sparsi sul mio corpaccione.

Con fare calmo mi disse che c’era un neo quasi al centro della schiena che andava asportato e analizzato anche se non c’erano evidenti segni di atipicità. Sono sempre del parere che se una cosa deve essere fatta, occorre farla, specie in campo sanitario.

Così, a novembre del 2003, mi venne asportato chirurgicamente il primo neo.

Passarono i giorni, arrivò Natale e nel periodo tra Capodanno ed Epifania 2004 portai la mia famiglia a Roma. Il cappellano militare ci aveva procurato gli inviti per l’udienza del Papa in Vaticano. Assistemmo ad una delle ultime udienze presiedute da Papa Giovanni Paolo II che da li a qualche mese morì.

All’uscita dalla Sala delle udienze pontificie riaccesi i cellulari e subito intesi il segnale di una chiamata non risposta. Ero con la mia famiglia di fronte al grande presepio tradizionalmente allestito in piazza San Pietro, c’era il sole. Chiamai il numero del dermatologo e lui con molto tatto mi comunicò che anche il secondo esame istologico del neo asportato – ecco perché non mi aveva ancora contattato – indicava che si trattava di un “melanoma maligno”. La nota positiva era che aveva delle dimensioni molto piccole ed era poco profondo. Naturalmente alla notizia giuntami mentre avevo di fronte la moglie e i figli cercai di reagire con compostezza ma l’animo era in forte tumulto. Dopo pochi giorni tornai sotto i ferri del chirurgo che praticò l’escissione della zona circostante la cicatrice della prima asportazione, poi feci una radiografia toracica e una ecografia all’addome. Tutto il personale medico e infermieristico fu molto premuroso con me… forse perché ero anche un Colonnello. Per fortuna gli esiti degli esami istologici e dei test diagnostici dei nuovi tessuti asportatimi furono confortanti. Il dermatologo mi diede appuntamento dopo sei mesi per il controllo. Trascorso il periodo, mi ripresentai al Celio per la visita. Il dermatologo guardando la schiena e mi disse che un poco a lato della cicatrice del primo neo ce n’era un altro che lui mi consigliava di asportare. Così fu e, anche questo, si rivelò come un secondo “melanoma maligno”. In quel momento ebbi la sensazione che il mondo mi stesse cadendo addosso. Ero a Roma, lontano da moglie e figli ed ero alle prese con un secondo attacco alla mia salute. Non so quale molla psicologica scattò in me, decisi di affidarmi con fiducia alle cure previste nel protocollo medico-chirurgico. Questa volta però lo stesso dermatologo, probabilmente per tranquillizzarmi, decise di farmi eseguire l’esame del linfonodo sentinella e una TAC total body con liquido di contrasto. Tutto per fortuna andò bene.

Nel dicembre 2005 da Roma venni trasferito a Bologna e così venni preso in cura dal reparto di dermatologia del Policlinico di Modena.

Dal 2005 ad oggi, ogni anno vengo sottoposto a una o più video microscopie. Mi sono stati asportati almeno sei o sette nei e anche un basalioma in un orecchio. Questo ultima asportazione merita di essere raccontata. Ero stato convocato nel DH per l’asportazione di un neo sospetto dalle parti di una mia spalla. Ero adagiato prono sul lettino quando una solerte ed esperta infermiera, osservando il mio padiglione auricolare, iniziò a cinguettare verso il chirurgo: “dottore, dottore, ma questo non è un basalioma?”. Grazie alla sua provvida osservazione, programmai un secondo intervento per rimuoverlo quando ancora era di dimensioni molto ridotte.

I tessuti asportatimi, al successivo esame istologico, risultarono, per mia fortuna, tutti negativi. Questi piccoli interventi sulla mia cute li chiamo scherzosamente una “liposuzione a tappe successive”.

Altre tre pillole di “saggezza”

L’incarico di comando che svolgevo a Roma mi occupava sempre di più. Inoltre, alla sera mi preparavo la cena da solo e, fatalmente, iniziai a ingrassare perché ero fatalmente caduto nella spirale: solitudine dagli affetti, stress, assunzione di cibo consolatoria, scarsissima attività fisica. A seguito di una periodica analisi delle urine mi venne riscontrata addirittura la presenza del glucosio nelle stesse. Brutto colpo per davvero. L’Ufficiale medico mi prescrisse tre pillole di Metformina da 500 mg.

Ecco, qui purtroppo subentrò in me una fallace equivalenza comportamentale. Ricordate quanto ho descritto a proposito dell’ipertensione arteriosa? Stoltamente mi dissi che, se con le prime tre pillole tenevo sotto controllo la pressione, assumendo le tre pillole di Metformina avrei tenuto sotto controllo la glicemia.

In pratica, continuai nel medesimo precedente stile di vita: niente attività fisica regolare, cattive abitudini alimentari e resistenza all’accumulo dello stress.

Risultato, una volta tornato a risiedere a Modena ero aumentato notevolmente di peso e il valore di glicemia alterata si era trasformato in Diabete mellito di tipo II, ma di tutto questo non avevo ancora percepito chiari i sintomi e le conseguenze.

Arrivano altre due pillole di “saggezza”

Gli anni trascorrevano, mi ero dato un po’ da fare per diminuire il mio peso corporeo, ma il consumo di carboidrati era rimasto inalterato. Il mio medico di famiglia M. mi inviò a una visita di controllo cardiologica. Lo specialista del poliambulatorio, visto l’ECG e l’esito del consulto, decise di prescrivermi altre due pillole: una per contenere il livello di colesterolo e l’altra per attenuare gli effetti degli acidi urici. La cosa non mi piacque per nulla.

La svolta

In quel periodo, con alcuni amici, partecipai ad una escursione alla cima del Monte Cusna. Quella ascesa in una giornata soleggiata mi diede l’occasione di fare un bel esame di coscienza: a livello fisico ero proprio una schifezza. Troppo grasso, poco allenato, fiatone grosso.

Finalmente presi la decisione che il mio stile di vita andava assolutamente modificato! Iniziai a camminare regolarmente, anzi, decisi che il tragitto da casa al lavoro (circa 4 km.) l’avrei fatto sempre a piedi: andata e ritorno. Effettivamente il mio corpo all’inizio si ribellò inviandomi continui segnali di dolore e sofferenza, ma non mollai la presa. Dopo circa trenta giorni mi sentivo bene, molto meglio di prima. Con qualsiasi tempo prendevo il mio zainetto e via verso il lavoro o per tornare a casa. Mia moglie era felicissima e mi curava anche nell’alimentazione. I primi risultati iniziavano a farsi vedere, finalmente.

Nel frattempo, nel 2008, fui inviato a Baghdad (Iraq) per la mia terza semestrale missione con la NATO.

Una botta nei denti

Nel 2009 venni trasferito da Bologna all’Accademia Militare di Modena con l’incarico di docente militare. Proprio quando ero convinto di avere imboccato la strada giusta per preservare la mia salute, decisi di aderire a una donazione volontaria di sangue insieme ai miei cadetti. L’emoteca militare fece il prelievo e le analisi.

Nonostante tutti i miei sforzi il diabete era progredito e mi fu attribuito un valore decisamente alto di glicemia: 260 a digiuno. Questa volta però il risultato era stato rilevato dal mio datore di lavoro, rappresentato da un ufficiale medico che, forse inconsapevolmente, iniziò una sorta di persecuzione. Era il 2011 e, con l’avvento dei militari professionisti, l’Esercito Italiano decise di avviare una campagna fra tutto il personale allo scopo di non superare l’indice di massa corporea pari a 30. Il BMI (Body Mass Index) è un valore che si calcola con una formula matematica utilizzando i dati del peso e dell’altezza di ciascun individuo. In pratica, tutti noi militari dovevamo recarci nella Infermeria della caserma, salire su una bilancia ed essere giudicati non in base a quanto realizzavamo in ambito professionale ma in base ai chili del nostro peso corporeo.

Chi superava la soglia del 30 veniva invitato a perdere peso, dopo tre o sei mesi veniva di nuovo pesato e, se non era rientrato nel limite, poteva essere messo in convalescenza per sei mesi al termine dei quali, se ancora sopra il limite, poteva essere riformato dal servizio militare attivo.

Insomma, dopo più di trent’anni di professione durante i quali a nessuno era interessato il mio peso e in cui avevo girato mezzo mondo e buona parte dell’Italia, giunto quasi alla soglia della pensione nel momento in cui facevo il docente ai cadetti dell’Accademia Militare, mi trovavo messo ai margini per colpa del mio peso corporeo.

Non solo, il solerte medico militare, al quale onestamente avevo descritto tutte le patologie che mi affliggevano e che curavo in modo farmacologico accompagnato da un corretto stile di vita, iniziò a fare nei miei confronti una sorta di terrorismo psicologico: “ma lei è dismetabolico” parole pronunciate come se la mia vita fosse appesa a un filo.

Sinceramente non capivo perché mi incutesse tanto terrore sul mio stato fisico. In ogni caso, proseguii con il mio nuovo comportamento, persi del peso e arrivai alla periodica “pesata” con un BMI pari a 30,3. Il zelante medico militare non corresse il valore in 30 ma, pur in presenza dei confortanti valori delle analisi cliniche, decise di darmi un ulteriore periodo di sospensione del giudizio prima di inviarmi in convalescenza. Sconsolato iniziai a preparare i documenti per essere inviato in pensione.

Altre tre pillole di “saggezza”

Tornando un passo indietro, al momento del risultato delle analisi che mi bollavano come diabetico, decisi di chiedere di entrare nel “programma di protezione” del Centro Anti Diabete di Modena. Da febbraio mi diedero il primo appuntamento a maggio. In quei mesi mi recai da vari medici che mi prescrissero le dosi di insulina. Acquistai uno dei misuratori di glicemia, il SSN mi passò l’insulina e da solo mi facevo le iniezioni con le mini siringhe. Continuavo a camminare e a stare attento all’alimentazione.

Finalmente fui visitato al Centro Anti Diabete dalla dott.ssa S. che mi prese in cura. Tra analisi, visite, consulenze dietologiche e del podologo, ecc. iniziai a contrastare il diabete in modo efficace e consapevole. L’uso delle penne per l’autoiniezione dell’insulina mi facilitò moltissimo l’assunzione della stessa. Vedevo che con la costanza dei miei sforzi, sempre ottimamente sostenuti da mia moglie e dai miei cari, potevo farcela ad arginare la progressività della malattia.

Dopo qualche mese, visti i confortanti risultati dei valori di glicemia, la dott.ssa S. mi affrancò dall’assunzione dell’insulina per continuare la sola terapia per bocca.

Ero al settimo cielo, anche se mi ritrovai con altre tre pillole da ingerire quotidianamente.

Situazione attuale

Dal gennaio 2016 sono felicemente in pensione, con la grande soddisfazione di non dovermi più pesare per mantenere il posto di lavoro e senza avere più a che fare con quel zelante dottorino militare che mi dava del “dismetabolico… piede nella fossa”.

Sono entrato come volontario nella Croce Blu di Modena come addetto ai trasporti sociali e, stando a contatto con la sofferenza degli altri, comprendo che, per il momento, sono proprio un uomo fortunato.

Recentemente ho effettuato dei controlli routinari per l’ipertensione che hanno dato tutti esisti positivi confermando l’attuale terapia.

Nel mese di febbraio 2016 mi è stata impiantata una protesi all’anca destra in quanto negli ultimi tre anni avevo degli evidenti segni di coxartrosi bilaterale e, camminando, avevo assunto una errata postura. L’intervento è andato magnificamente e spero che, nel prossimo gennaio 2017, si possa procedere all’impianto di una protesi all’anca sinistra.

La dott.ssa S. del Centro Anti Diabete mi ha prescritto recentemente una iniezione settimanale di un nuovo farmaco a lento rilascio che ritengo abbia, in associazione con la terapia orale, degli ottimi effetti sul contenimento dei miei valori di glicemia.

Ringrazio Dio, la mia famiglia e quanti mi vogliono bene perché oggi tutto sommato mi sento bene e, nonostante l’assunzione quotidiana di quelle che scherzosamente chiamo “le mie undici pillole di saggezza”, mi sento ancora un leone.

Un consiglio rivolto a tutti: “assumete uno stile di vita corretto fin da giovani: occhio a non aumentare di peso e praticate una regolare attività fisica”.