Chi racconta questa storia è la mamma di un ragazzo autistico.

Buon giorno, mi chiamo Monica sono una donna di 54 anni, figlia unica, sposata con Enrico dal 1989, madre di due figli maschi: Francesco 1990, normo tipico, e Andrea 1994 con diagnosi di autismo, disturbi generalizzati dello sviluppo.

La nostra famiglia così composta, vive con i miei genitori, stessa abitazione con due unità abitative. I miei genitori contribuiscono e hanno contribuito in modo significativo nella riuscita del percorso intrapreso sino ad oggi con Andrea e Francesco.

Francesco il fratello maggiore, al momento della nascita di Andrea aveva quattro anni, con tutte le aspettative che un fratello può avere, questo mondo è stato alterato.

Solo dopo anni ho potuto prendere in considerazione l’importanza di coinvolgerlo.

La nascita, il percorso intrapreso per arrivare alla diagnosi, le fatiche, hanno contribuito ad innescare in me sensi di colpa per non aver dato a Francesco tutte le attenzioni di cui avrebbe, secondo me, avuto bisogno.

Noi genitori tendiamo ad occuparci di chi, secondo il nostro modo di percepire, ha più bisogno, il più fragile, chi è “ malato” , ma in realtà non è così. ( Da descrivere è complesso, qui si apre un altro scenario, occuparsi dei fratelli dei ragazzi con disabilità).

Prima di raccontare la vera comunicazione della diagnosi voglio fare una premessa importante, essendo Andrea secondogenito, confrontavo i suoi atteggiamenti con quelli del fratello maggiore, Francesco, e così di giorno in giorno realizzavo sempre di più che c’era qualcosa che non andava.

Quando Andrea è nato tutto era nelle normalità. Un bel bambino di 3,800 kg nato 15 giorni prima del termine, con parto naturale in acqua presso l’ospedale di Correggio.

Sin da subito si è attaccato al seno ed è sempre stato un mangiatore con particolare interesse per i cibi tradizionali emiliani e saporiti.

Il primo dato particolare, di poca importanza per i pediatri, era che Andrea dormiva veramente poco e con pochi minuti di sonno recuperava, questo accadde fino a 8 mesi e mezzo, abbiamo veramente dormito pochissimo, e sino a circa sei anni si svegliava con una media di circa cinque, sei volte per notte.

Osservando Andrea, notavo alcuni aspetti e confrontavo con quelli del fratello e ciò non mi rassicurava. Andrea aveva ritardo del linguaggio, a due anni ancora non parlava del resto anche il fratello iniziò a parlare bene a circa tre anni, ma c’era una comunicazione significativa, aspetto che mancava in Andrea tanto da far pensare ad una ipotetica sordità, ma sordo non era, perché appena sentiva una musichetta piaciuta per tv correva ad osservare, d’altro canto se lo chiamavo non si voltava, non mi osservava negli occhi, se io c’ero o non c’ero per lui era uguale, i bambini verso il non mese se la mamma va via piange, Andrea no.

Aveva una soglia altissima del dolore, iperattivo e non stimante del pericolo, in tutto questo Andrea cresceva benissimo in salute fisica, forte e bellissimo.

Quando piangeva in modo inconsolabile, riempivo la vaschetta per il bagnetto e appena gli toglievo i vestiti, già si rilassava, ed in acqua era il bimbo più felice del mondo.

Solo più avanti, leggendo libri sull’autismo, ho appreso che alcune persone autistiche non amano il contatto fisico, in loro vi è un alterazione neurosensoriale che gli provoca disagio e/o dolore.

Andrea non amava i luoghi affollati, e rumorosi, le fiere le giostre. Un giorno Andrea aveva circa due anni andammo a Novellara alla fiera, dovemmo fuggire perché scoppiò in un pianto inconsolabile.

Nel frattempo ho chiesto visite da diversi pediatri, ma nessuno aveva la risposta alla mia domanda: signora tutto bene…

Un giorno, Dio ha volto che incontrassi la persona tanto attesa. Arrivo il giorno della vaccinazione e il pediatra del servizio si rende conto subito della situazione e chiede la disponibilità a far vedere Andrea alla Neuropsichiatra del servizio di NPI.

Andrea aveva due anni.

Acconsentì immediatamente, non sapevo più a chi rivolgermi, nessuno specialista si era accorto di nulla sin a quel benedetto giorno.

Da subito la dott.ssa della neuropsichiatria si è accorta che in Andrea vi erano delle difficoltà nel gioco. Da quel giorno venne preso in carico dalla neuropsichiatria per un percorso di psicomotricità e iniziò all’età di due anni e mezzo e tutto un iter per arrivare alla diagnosi, con ricoveri in day hospital presso l’ASMN per tutta una serie di esami. Tutto questo durò circa un anno e mezzo o due , escludendo di ogni, ma senza sapere cosa succedeva in Andrea e perché era così, avevo solo delle ipotesi ,ma non delle certezze.

All’età di quattro anni finalmente arrivo la diagnosi di “ disturbi generalizzati dello sviluppo” autismo infantile.

La diagnosi, è arrivata, dopo aver chiesto con insistenza agli specialisti della NPIA.

Sino a quando non ho avuto la diagnosi ho sempre sperato che quello che ipotizzavo non fosse vero, che Andrea prima o poi avrebbe iniziato a parlare a comunicare.

La diagnosi è stata si un evento traumatico, un lutto da elaborare, ma anche una forza che mi ha stimolato a lottare per dare ad Andrea tutto ciò che era possibile per aiutarlo ad “uscire “ dalla sua condizione.

Quando noi genitori eravamo in attesa di Andrea, ci siamo idealizzati una vita, con un futuro e sicuramente anche suo fratello Francesco.

Quando Andrea è nato era e tutt’ora è bellissimo, si associa sempre disabilità all’aspetto fisico, l’autismo non si vede subito alla nascita, e venti tre anni fa, in Italia la diagnosi aveva un percorso abbastanza lungo, oggi il percorso è più rapido. Sentimenti di Rabbia, di sconforto, sono stati sempre presenti, oggi molto attenuati, elaborati. Nel nostro immaginario di attesa durante la gravidanza e dopo la nascita, ci siamo disegnati vari scenari ,varie aspettative che sono state disattese.

Oggi riconosco che tutto questo è stato un dono di Dio che ha permesso, a me in modo particolare, di cambiare e di crescere, di conoscere aspetti della vita molto preziosi e importanti, tramite Andrea ho capito a non dare nulla per scontato, che le cose non sono come le vediamo, ma esistono sempre altri punti di vista e altro…..

Noi genitori siamo stati affiancati da uno psicologo che ha conosciuto Andrea nella prima presa in carico e allora era uno stagista, e ci ha seguiti supportati e aiutai a comprendere. Non ha mai voluto un compenso economico nonostante lavori privatamente, ha svolto un ruolo importantissimo e tutt’ora c’è in caso di bisogno.

Nei primi anni portavo Andrea in NPIA per gli interventi di psicomotricità, io aspettavo fuori, ma a casa eravamo noi a gestire i comportamenti di Andrea, con la sua iperattività, la sua difficoltà comunicativa, la sua difficoltà a comprendere il mondo circostante, stimare i pericoli, giocare con il fratello difficilissimo o quasi impossibile.

Nessuno ci ha insegnato ad essere genitori e men che meno genitori di un bambino autistico.

Ad oggi ripensando a tutto ciò che ho fatto, che abbiamo fatto in famiglia, mi sento svuotata e scarica, non so se riuscirei a rifare tutto da capo.

Ho cercato su internet, ho partecipato a convegni, ho chiesto di entrare in una associazione di genitori con bambini affetti d’autismo a quei tempi a Reggio Emilia c’era AUT AUT e la dott.ssa Dalla Vecchia ci aiutò a conoscere.

La presa in carico non è mai stata continuativa, ci sono stati dei periodi di inattività, vuoto in tutti i sensi. Anche oggi che Andrea ha ventidue anni, 23 a dicembre, la presa in carico è sulla carta, i servizi ci sono, ma ancora potrebbero migliorare.

Dal giorno della diagnosi, tanti percorsi sono stai fatti ,tanto lavoro, anche se in modo discontinuo. Per periodi da alcuni mesi a un anno, non abbiamo avuto lo specialista di riferimento, abbiamo avuto brave terapiste che hanno lavorato in modo professionale.

Ma la discontinuità, mi ha dato la sensazione di abbandono.

Unico punto fermo è ed è sempre stata la famiglia, una famiglia composta da noi genitori, dal fratello e dai nonni, materni e paterni.

Una famiglia non basta a crescere un figlio “speciale” diversamente la semplice famiglia composta come oggi nel quotidiano da soli genitori, prima o poi “scoppia”.

La scuola ha svolto un ruolo importantissimo di educazione e presa in carico e lavoro professionale. Abbiamo avuto “la fortuna” di conoscere insegnanti che si sono messe in discussione ,che hanno sempre collaborato con noi e hanno contribuito a rendere Andrea il ragazzo di oggi.

Andrea chi lo ha conosciuto nell’infanzia e lo ha seguito per anni, resta meravigliato nel vederlo oggi.

Poi la scuola finisce e mi sono scontrata con la dura realtà, che dopo i 18 anni i ragazzi con disabilità miracolosamente “ guariscono”, con ironia cruda verità, i servizi ci sono, ma non sono esaustivi per il bisogno reale. La nostra società si occupa dei piccoli, si occupa degli anziani, ma fra i 18 e i 65 anni? Ancora molto c’è da costruire.

Andrea alla superiori, ha frequentato Geometri, ha conseguito un attestato ed ha appreso delle competenze spendibili nel mondo del lavoro.

Purtroppo dopo la fine della scuola è rimasto a casa per ben due anni di inattività, e sinceramente ho ribadito più volte a chi di dovere o competenza, che così si stava gettando via tutto il lavoro fatto fino ad oggi per rendere Andrea autonomo.

Il lavoro per tutti ed in modo particolare per i ragazzi con disabilità è un modo per stare in contatto con la società è “terapeutico”.

Se mi chiedete quali risorse sono state messe in campo, devo ammettere tutte quelle conosciute tutte quelle possibile e anche di più, tanto amore ,tanta fede ,tanta forza e tanto coraggio, non mi sono mai arresa di fronte a nulla e a nessuno, ho lottato, lottato, lottato.

I limiti? Sì ce ne sono stati, ma sinceramente ora non li ricordo perché ho sempre voluto vedere le possibilità di fare e costruire per Andrea un mondo che fosse il più comprensibile possibile, e ancora c’è da fare, ma ho imparato ad allentare la presa, per non impazzire, e per vivere anche la mia vita di donna.

Oggi Andrea lavora al museo a Correggio, è rimasto a casa per alcuni mesi poi da poco ha ripreso. Frequenta con la fondazione Dopo di Noi, weekend e settimane con ragazzi ed educatori, una volta al mese.

E’ un nuotatore, un campione, nelle società Uninuoto Correggio partecipa alle gare di campionati nazionali della FISDIR vasca corta, dove ha vinto parecchie medaglie ed è stato premiato alla festa dello sport a Reggio Emilia.

Ha un senso artistico spiccato, con un tratto preciso, per questo al martedì sera lo portiamo a Campagnola a Concretamente, associazione culturale, dove disegna e decora piastrelle o altri oggetti.

L’anno scorso, in occasione della giornata nazionale dell’autismo 2 aprile, il comune di Campagnola ha organizzato con Concretamente, una mostra con i lavori di Andrea, creati nel corso di anni e sono state raccolte frasi scritte da chi ha conosciuto Andrea negli anni della scuola, insegnati, educatori, catechismo e sono veramente tantissime, e li ho vissuto emozioni irripetibili stupende, ho vissuto la percezione di gratitudine dell’impegno investito negli anni con Andrea, un sorta di restituzione.

Una settimana incentrata sull’autismo, con la proiezione di un film.

Andrea ama i film giapponesi di Hayao Miyazaki, da poco anche i film della Marvel sui super eroi. Da poco organizza uscite al cinema con un suo amico autistico, condividono gli stessi interessi.

Vi ringrazio di avermi dato questa stupenda opportunità a raccontare e scrivere, anche se non amo scrivere, prediligo la narrazione verbale, in realtà sto scoprendo che poi non è così difficile. Sicuramente richiederà delle correzioni di forma, ma poco importa. Chissà potrebbe essere un inizio per un libro ?

Infinitamente Grazie.