Anna sta compiendo 64 anni e racconta di non esser più felice. È in pensione, vive da sola, ha due figlie e
quattro nipoti, tutti vicini e nello stesso paese.
A marzo 2020 è morto il marito Carlo, per un tumore al polmone. Le restrizioni pandemiche non hanno
permesso lo svolgimento del rito funebre, che è stato posticipato a luglio. L’estate scorre con le vacanze in
famiglia, ma da settembre, con il rientro alla quotidianità, si delinea una maggiore difficoltà di gestire sintomi
come ansia, insonnia, tristezza. Inizialmente intorno ad Anna tutti la rassicurano e la aiutano a inserire tale
fatica emotiva nel naturale processo di elaborazione del lutto.
Il natale sembra essere un momento apparentemente tranquillo, ma l’arrivo dell’ultimo dell’anno (periodo
di solito trascorso in viaggio con marito e amici) vede il decisivo peggioramento dei sintomi. Anna riferisce di
sentirsi troppo sola, ogni impegno domestico richiede troppo sforzo, non è presente piacere nello svolgere
alcuna attività (anche la presenza dei nipoti è a tratti insopportabile). Nonostante i ripetuti tentativi delle
figlie di creare una rete di impegni a supporto di tale solitudine, Anna è sempre più nervosa, recriminativa,
insofferente, se in presenza di altri, triste e angosciata se sola in casa.
Mi chiama la figlia maggiore, a gennaio 2021, per fissare un primo appuntamento per la madre.
Anna si presenta senza motivazione a svolgere l’incontro. Si dice obbligata, sull’onda di una scarsa
sopportazione da parte delle figlie “si lamentano che non riesco più a esser a loro diposizione come prima:
ora che ho bisogno io non c’è nessuno”.
Anna ha già attraversato il lutto del primo marito (padre delle figlie) avvenuto circa vent’anni prima. “Ero
molto impegnata a crescere le figlie, non ho avuto troppo tempo per pensare, mi sentivo sola ma dovevo
andare avanti. Adesso è più difficile, Carlo mi ha fatto sentire speciale, abbiamo viaggiato tanto insieme: era
un desiderio che avevo fin da bambina”.
L’umore deflesso di grado moderato è accompagnato da stati di angoscia serale, difficoltà a mantenere un
regolare ritmo sonno-veglia, modifica della qualità dei cibi assunti (predilezioni per dolci) e aumento
ponderale di circa 4 Kg negli ultimi sei mesi (lieve sovrappeso). Anedonia e astenia accompagnano la
quotidianità, creando maggiore difficoltà nel gestire la ruminazione incessante, su temi di perdita, ed emerge
scarsa propositività per il futuro. Le risorse di pittura e partecipazione alle attività sportive sono state sospese,
a causa proprio dello scarso livello di energia percepito. La rete sociale si è quindi ridotta a relazioni
intrafamiliari, conflittuali rispetto alle richieste di accudimento e vicinanza, espresse da Anna con
atteggiamenti passivi e recriminativi.
Fin dall’inizio Anna esclude la possibilità di un supporto farmacologico e accetta di iniziare una terapia, più
per “far vedere alle figlie” che ci va, che credendo in ciò che fa. Concordiamo frequenza e obiettivi del
percorso di psicoterapia cognitivo-comportamentale (CBT) e decidiamo insieme di integrare l’intervento con
il protocollo EMDR, per l’elaborazione del trauma. L’esperienza del lutto di Carlo, infatti, evidenzia un blocco
nell’elaborazione spontanea della perdita, con l’esordio di sintomatologia, significativa clinicamente, propria
di una diagnosi di Disturbo Depressivo Maggiore, episodio singolo, di grado moderato, con assenza di pensieri
autolesivi/autosoppressivi (cod. 296.22 DSM-V F32.1).
Con il trascorrere degli incontri settimanali e dei mesi si osserva maggiore fiducia nel percorso intrapreso e
attiva partecipazione nell’attuare strategie di monitoraggio di pensieri disfunzionali e attuazione di strategie
funzionali alla gestione della sofferenza. L’anniversario della morte di Carlo e del funerale riescono ad esser
gestiti con coerente sofferenza ma senza scivolare in sintomatologia significativa.

Con l’arrivo dell’estate 2021 e l’aiuto del cognato, Anna decide di sostituire il camper precedente (utilizzato
per i viaggi con Carlo) con uno di dimensioni più ridotte, per poter organizzare le vacanze con gli amici di
sempre, senza perdere queste esperienze di condivisione.

Il rientro, come l’anno precedente, mostra una deflessione timica di grado lieve e in tale occasione viene ri-
proposta la possibilità di assunzione farmacologica. La maggiore alleanza terapeutica, probabilmente, ha

consentito ad Anna di accettare una consulenza psichiatrica.
Dopo aver raccontato il caso alla collega e sottolineato le possibili resistenze all’assunzione di terapia, il
colloquio di consulenza viene svolto e Anna torna in psicoterapia con la ricetta, riferendo di voler chiedere
consiglio a me al MMG “è davvero utile tale assunzione?”.
La relazione di cura si crea un incontro per volta e la possibilità di allargare la squadra di lavoro, per
fronteggiare l’umore depresso, non appare un obiettivo semplice da perseguire. Tali elementi sono
espressione di una storia personale, che affonda le radici in rapporti genitoriali di scarsa fiducia
interpersonale, per cui, ovviamente, ad oggi farsi guidare nelle scelte da figure di riferimento riattiva tali
ferite infantili.
Il lavoro con Anna prosegue, con l’obiettivo anche di riconoscere tali trigger attuali, che possono ostacolare
la cura stessa.

Relazione di cura