Il mio nome è Debora, nata a Sassuolo il 18 ottobre 1972 e all’esordio della malattia, nella primavera del 1994, residente a Maranello da sempre,
insieme alla mia famiglia: i miei genitori (mamma casalinga e papà direttore di aziende ceramiche) e mia nonna materna con due sorelle, tutte
molto amate da me e dai miei fratelli i quali, nel frattempo si sono sposati; mia sorella maggiore, casalinga, abita a breve distanza e mio fratello
maggiore, infermiere, abita a Magreta e ci ha regalato la prima nipotina. Proprio nell’estate delle sue nozze conseguo il diploma di maturità come
Operatore Turistico per realizzare il mio desiderio di viaggiare, non meno sentito di quello di proseguire gli studi: laurearmi in lingue straniere e
diventare guida turistica per gruppi di italiani all’estero sarebbe stato veramente il massimo! Quello che accade realmente, invece, è parecchio
differente: non esprimo mai seriamente la mia intenzione, a mio padre, di voler fare l’università e scelgo di lavorare presso l’azienda di quella che
sarebbe poi diventata mia suocera, madre del ragazzo con cui sto da quattro anni; accetto dunque, all’inizio del ’93, di fare il lavoro che non
avrei mai voluto svolgere, la segretaria, e trascorro 22 anni insieme a quello che, oggi, è il mio ex marito.
Un percorso abbastanza lineare insomma; un’infanzia serena con le amichetti del viale, coccolata da nonne e prozie, una mamma allegra, un
papà spesso assente per lavoro e, per questa ragione, con scarsa confidenza nel comunicare, ma non ricordo mai sgridate né sculacciate..tranne una, da
mia madre,all’età di cinque anni: lei pensa che siano capricci mentre io sono insopportabile a causa di una nefrite che mi porta all’ospedale,
conseguenza di una tonsillite presa durante una nevicata epocale! A seguire un’adolescenza piuttosto banale con orari di rientro serale,
diciamo così, non proprio elastici di mio padre che, in realtà, non mi sono mai pesati perchè tanto, da sempre, mi viene sonno molto presto, poi odio
le discoteche e la loro musica, perciò limitarmi ad una pizza o una birreria per poi rientrare, per me, non è mai stato un problema; semmai preferisco
un bel concerto e riesco sempre a fare ciò che desidero insieme ad alcune carissime amiche (lo sono ancora) e inizio presto la vita in coppia.
Oggi vivo, serena, a Formigine con il mio secondo marito che mi sostiene nella mia nuova attività di Operatrice Olistica e sono consapevole che,
seppur stramba, la mia famiglia è unita e compatta nei momenti difficili e tutti, ognuno con i suoi strumenti, mi hanno sempre dato tutto il sostegno

di cui avevo/ho bisogno. Con il valore aggiunto che mio fratello e sua moglie, da infermieri, oltre al supporto morale hanno competenza e
disponibilità a non finire. L’episodio d’esordio della malattia, nel maggio del ’94, è una neurite ottica retrobulbare con diplopia e, a seguire, calo del visus di 8/10 all’occhio
sinistro, tutto accompagnato da lieve malessere generale e febbricola costante. Dopo un paio di mesi altalenanti e indagini che non portano da
nessuna parte, su consiglio del mio meraviglioso medico di base di allora, mi sottopongo ad una visita neurologica in libera professione a Modena.
Lo specialista, piuttosto freddo nei modi ma molto celere e preparato, nel giro di pochissimi giorni mi prenota una risonanza magnetica, un esame
dei potenziali evocati e mi ricovera per eseguire una rachicentesi; dal giorno dopo, ancora senza esiti, inizio la terapia di cortisone per 2
settimane in day hospital presso il reparto di neurologia. Gli esiti arrivano e, nonostante l’episodio sia un indizio importante perché
molto usuale nell’esordio della malattia, sono tutti negativi e vengo dimessa con diagnosi di “sospetta sclerosi multipa” fino alla prima
ricaduta che avviene cinque anni dopo, quando l’infiammazione riguarda le gambe e l’addome.
Ci impiego almeno tre settimane a riprendermi, fisicamente, dal prelievo del liquor perchè sono talmente debole e affaticata che non mi reggo in
piedi, è come se fossi invertebrata: la mia colonna vertebrale non regge il peso della testa. Complice il matrimonio di una delle mie più care amiche
trovo la spinta per rimettermi mentre, ogni momento che passa, mi accorgo che il mio occhio vede sempre meglio e recupero completamente.
Tutti mi sono vicini, nessuno escluso; una sera di fine agosto mio fratello mi fa uscire di casa con la scusa di ascoltare “da fuori” il concerto dei Pink
Floyd a Modena: proprio quella sera, in TV, va in onda per la prima volta Trenta Ore Per la Vita dedicato alla sclerosi mutipla e lui non vuole che io
la veda perché non so ancora cosa significa esattamente la mia “sospetta” malattia e l’accortezza di chi mi sta intorno è quella, fin da subito, di non
farmici pensare almeno fino a quando rimane tale! Senza i mezzi di informazione di oggi era sicuramente più semplice provare ad adottare
questa strategia, ora sarebbe impossibile.
In tutta sincerità, quel poco che avevo scoperto, bastava a farmi capire che era qualcosa di grave ma, evidendemente, andava bene soprattutto a me far
finta di nulla.
Il giorno del primo controllo, in ottobre dello stesso anno, dal medico con cui è iniziato tutto mi dice in modo molto diretto e glaciale che “la sclerosi

multipla è una patologia che non incide particolarmente sulla durata della vita ma, certamente, sulla sua qualità sì”. Io e la mia famiglia insorgiamo, tra di noi, criticando le modalità utilizzate dal medico per darmi la comunicazione; a distanza di tutto questo tempo, e con un un ricordo sempre più vago di quel momento, ho chiarissima una
cosa: guardo mia nipote più piccola e ci vedo ancora la bimba che ho visto crescere e lei ha la stessa età che avevo io QUEL GIORNO…come si può
essere pronti a recepire nel modo “giusto” una comunicazione di quel tipo? Credo che, indipendentemente dalla forma (che è certamente importante,
intendiamoci) nessuno mai, a nessuna età, sia preparato a questo. Ad aspettarmi fuori dall’ambulatorio,ovviamente, mio fratello, che dopo la
visita mi porta al bar dove, davanti ad un caffè mi spega dettagliatamente ma molto delicatamente, cos’è la sclerosi multipla,o a placche.
Ovviamente accuso il colpo e seguono giorni, forse settimane, piuttosto duri e la famiglia si strige intorno a me. Sempre lui si attiva per ottenere
una visita alla clinica Besta di Milano, che conosce per mezzo di un ana sua cara amica e paziente, ma senza risultato.
Nel gennaio 1995 ho l’opportunità di fare approfondimendi presso il reparto di neurologia-sclerosi multipla all’ospedale di Gallarate dove mi
sottopongo alle stesse indagini di Modena e le conclusioni, infatti, sono uguali: è probabile che sia sm ma non vi è la certezza per via degli esiti
negativi e “se anche fosse, sarebbe probabilmente una forma non particolarmente aggressiva”. Di questa esperienza conservo il bel ricordo
di un’anziana volontaria molto dolce e di un infermiere con un carattere estremamente solare e giocoso che è come un raggio di sole dentro a una
stanza buia. Qui i degenti arrivano da ogni parte d’Italia e si conoscono quasi tutti..siamo come una comunità: il lunedì sera Salvo, un ragazzo
siciliano bloccato praticamente su tutto il lato sinistro, organizza la pizzata nella sala comune ordinando dalla pizzeria del viale; il giovedì c’è il torneo
di pinnacolo dove “ il tremulant” (non ho mai saputo come si chiama!) è imbattibile; ogni pomeriggio, terapie ed esami clinici permettendo, si
guardano film, si gioca a scala 40 o si chiacchiera davanti ad una tazza di the. E sempre qui, nel giorno delle sue dimissioni, Santina che è
magrissima e nonna da poco, mi dice “ricordati che qualunque cosa tu abbia e qualunque sia il tuo sintomo è soltanto tuo”.
Quando ho la mia prima recidiva, e divento “ufficilamente” affetta da SM recidivante remittente ritrovo, al pronto soccorso, il medico dell’esordio
che mi ricovera ma che non vedrò più perchè, in reparto mi seguirà una dottoressa. Dalle dimissioni in poi, non vedrò più,per scelta, nessun

medico della neurologia di Modena fino al 2008, nonostante diverse recidive.
Inizio il mio pellegrinaggio, in lungo e in largo, per l’Italia seguendo una dottoressa omeopata e agopuntrice di Roma che svolge attività anche a
Milano e Perugia e nella quale ripongo molta fiducia: mi tratta con terapie alternative ai protocolli e, oltre a rientrare dagli stati infiammatori, quando
la malattia è silente sto benissimo. Mi prendo adirittura il lusso di lavorare, in certi periodi, a ritmi elevati, anche in concomitanza di ricadute
neurologiche sentendomi efficientissima!
Lei non si permette mai di vietarmi le cure convenzionali ma non ce n’è alcun bisogno: non ho nessuna intenzione di farlo né, tantomeno, di
rientrare in un ospedale dove i sanitari non hanno il più vago ricordo di chi sei, che problema hai e, spesso, nemmeno l’intenzione di rispondere al tuo
“buongiorno” quando li vedi, o ti vedono, arrivare.
Questo è il punto: ho una gran paura e non voglio pensare alla gravità della SM, fingo che non esista fino a quando non ci sono ricadute e, visto che
riesco a riprendermi ogni volta, faccio come se non ci fosse, né lei né i medici; sminuisco e faccio in modo che mi si veda il men possibile quando
sto male, chiamo a casa per sapere come stanno anziché passare di là così da non preoccuparli (o preoccuparmi?). Per questo motivo nessuno,
probabilmente, ha la percezione di come sto davvero e non è certo colpa loro: come posso pretendere di essere compresa se non mi esprimo o mi
vergogno di mostarmi in difficoltà? Come fanno a darmi aiuto se non lo chiedo,anzi, se mi nascondo? Ora so che ACCETTARE la realtà delle cose
e diventarne consapevole è di gran lunga più utile e molto meno faticoso…prima si comincia e più si guadagna tempo per cercare di stare
nel migliore dei modi possibile.
Finalmente, agli inizi degli anni 2000, inizio ad avere attacchi di panico, significa che non posso più ignorare la malattia e il fatto che non sono per
niente contenta della mia vita! In preda ad uno di questi finisco, un paio di volte, al pronto soccorso (per scoprire, ovviamente, che sto benissimo
anche se mi sembra di essere in fin di vita!) dove, una dottoressa molto gentile, mi chiede se in neurologia ne sono al corrente mentre io le
rispondo che non sono in cura da nessun neurologo; lei allora mi chiede il permesso di farmi telefonare dalla dottoressa del reparto, che conosce bene
e che, secondo lei, mi piacerebbe.
Esattamente la mattina dopo mi telefona la neurologa in questione, che mi “invita” in reparto per conoscerci: quel gesto, anzi, quei gesti di due
medici mai visti prima cambiano tutto! Mi sento accolta e accudita, ritrovo la fiducia, che nutro tutt’ora e che si allarga a macchia d’olio ai
collaboratori, allo staff e che mi dà riscontro anche quando, in occasione del divorzio mi sento sostenuta e, con premura, mi viene offerto
spontaneamente, l’aiuto della psicologa di reparto.
Negli anni ho mai seguito cure di immunosoppressori, o meglio, non mi sono mai state prescritte, piuttosto consigliate altre ma non le ho mai
intraprese perché, per un periodo,cercavo la gravidanza; in ogni caso non credo le avrei seguite,sono sempre stata libera di scegliere e ho sempre
imboccato la strada più tortuosa ma più naturale possibile.
Fino ad ora la mia sclerosi multipla mi ha permesso di vivere ancora piuttosto dignitosamente: ci metto molto impegno e autodisciplina ma
sono cambiate tante cose e sono cambiata io perciò, ritrovando la fiducia, non mi precludo nessuna possibilità e sono prontissima ad accogliere
terapie convenzionali se ce ne fosse bisogno. Ho smesso di seguire medici “alternativi” lungo lo stivale e mi affido di buon grado alle cure dei medici
che conosco e conoscerò ma non smetto di praticare con regolarità, da quasi 18 anni ormai, discipline come yoga e meditazione o di attingere il
meno possibile all’utilizzo di farmaci e, nel caso, di optare per rimedi naturali, mi dedico a trattamenti energetici come il Reiki, di cui sono
insegnante così come faccio l’istruttore di meditazione Raja Yoga e Mindfulness. Tutto questo non cancella la mia malattia, lei fa il suo corso e
i segni, con il tempo si fanno sentire sempre più ma il quadro clinico è stabile dal 2011 e, per me, significa che la fiducia in se stessi, nelle cose
che si fanno, nelle persone a noi vicine che vogliono il nostro bene, nei medici che ci curano, nei sanitari che ci assistono è un passo fondamentale.
Al di là del mio problema neurologico non ho mai avuto esperienze di malasanità, ho sempre incontrato medici competenti: nessuna diagnosi
sbagliata, nessuna terapia inadeguata. Personalmente non credo alla sfortuna né alla fortuna: credo semplicemente che esistano persone
qualificate in grado di svolgere il loro mestiere, purchè vengano messi nelle condizioni di poterlo fare, perchè sono esseri umani che possono
sbagliare. Come tutti.
Certamente quello che non vorrei più rivivere (io come nessun altro) è l’indifferenza: trovarsi in un letto d’ospedale circondati da un’equipe
medica che tiene gli occhi fissi sulla cartella clinica mentre, ignorandoti completamente, si confronta parlottando di te come se tu fossi altrove e
scorgi, forse un giovane specializzando che abbozza un sorriso e con gli occhi sembra dirti “io ti direi anche buongiorno ma non posso”…caspita,
non è un’autopsia: sono viva, vi vedo, vi sento!

Diciamo che, dopo tutto questo tempo, credo di aver acquisito gli strumenti per apprezzare un medico competente piuttosto che un medico
affabile, in fin dei conti mi deve curare, non portarmi al cinema..ma un sorriso fa benissimo a chi lo riceve e anche a chi lo regala.
Questa è la mia personale esperienza, il mio personale punto di osservazione. Non sono in grado di decidere cosa, come e a chi rivolgere
suggerimenti: è un racconto per chiunque voglia ascoltare se stesso e gli altri, per fare e farsi domande, per provare a dare e darsi risposte, per chi
vuole accogliere, condividere, spiegare; per fare del proprio meglio per (far) stare bene anche quando si sta male. Per lavorare tutti insieme nella
stessa direzione perché, se non siamo già medici o infermieri, o sanitari, o non siamo già malati…siamo tutti potenziali pazienti e caregiver.
Tutti abbiamo bisogno di qualcuno e tutti abbiamo,sempre, da imparare.

“Fingo che non esista fino a quando non ci sono ricadute”