Il tutto è iniziato qualche anno fa quando a mio figlio di 23 anni è stato diagnosticato
il morbo di Chron e a mio marito di 80 anni un tumore alla prostata.
Mio marito è stato operato in tempi molto rapidi di prostatectomia e subito dopo ha
iniziato anche la radioterapia, all’inizio era molto spaventato, perché suo padre e suo
nonno avevano avuto, tanti anni prima, lo stesso tumore che non gli ha dato scampo
e sono morti.
L’intervento è stato eseguito con la chirurgia robotica, una tecnica molto

all’avanguardia e poco invasiva, secondo il parere dei chirurghi; il decorso post-
operatorio è stato, invece, abbastanza difficile. Tutti i sanitari, medici ed infermieri,

hanno sottovalutato il dolore continuo che lui accusava e in quel momento mi sono
sentita veramente impotente e spaventata, tant’è che alla fine è stato trasferito in
terapia intensiva per “fibrillazione ventricolare“ scatenata, probabilmente, dal forte
dolore addominale che fortunatamente si è risolta nel giro di 24 ore. Finalmente dopo
qualche giorno è tornato a casa e i controlli successivi sono sempre andati bene,
anche se lui era molto giù di morale, si sentiva sempre stanco, soprattutto dopo la
radioterapia, non più attivo come prima e sempre più inadeguato.
Io ho sempre cercato di rassicurarlo, di stargli vicino e di ricordargli che aveva una
bella famiglia, una moglie e due figli che gli volevano bene e che gli avevano dato, a
suo dire, lo stimolo e la voglia di essere sempre sul pezzo, nonostante la nostra
differenza di età (26 anni).
Forse il problema era proprio questo: lui non riusciva più a stare sul pezzo, cominciava
a vacillare, ad avere bisogno di noi in qualsiasi momento, per qualsiasi cosa, non aveva
più il controllo della sua vita e un ruolo ben definito.
Non vi ho ancora detto che Salvatore, detto Toto, è un medico in pensione da qualche
anno, è sempre stato un punto di riferimento per tutti i nostri amici dal punto di vista
sanitario, adesso si definisce il loro “consulente”.
Noi abitiamo in un paese di campagna, luogo che io e lui adoriamo, in una casa singola
con parecchio verde intorno e parecchie cose da fare, da quando mio marito è andato
in pensione si è sempre dedicato a tutti i lavori possibili che ci sono da fare in una casa
grande e singola. Mentre io, dato che lavoro tutta la settimana, mi dedico
principalmente al giardinaggio nel fine settimana.

Adesso, però, mio marito non riesce davvero più a fare certe cose, perché nell’ultimo
anno si sono aggiunte altre due situazioni nuove: una malattia “atipica” degenerativa
muscolare e articolare, probabilmente su base auto-immunitaria, che gli provoca
molto dolore e sofferenza, oltre alle aritmie cardiache, accompagnate da parecchie
extrasistoli e tachifibrillazioni.
Tutto questo ha portato mio marito Toto ad una situazione di fragilità emotiva
estrema con parecchia inquietudine e sofferenza.
Contemporaneamente alla situazione di mio marito si è aggiunta quella di mio figlio,
me lo ricordo come se fosse ieri quando l’ho accompagnato a fare la colonscopia e
quando la dottoressa al suo risveglio mi ha comunicato con testuali parole: “dato che
lei è una dipendente sanitaria, non uso mezzi termini, Andrea è probabilmente affetto
dal morbo di Crohn, abbiamo visto la tipica caratteristica della mucosa intestinale
all’esame endoscopico, il tutto verrà confermato dall’esame istologico”.
Peccato che la dottoressa, molto carina e disponibile, non avesse tenuto conto che
oltre ad essere una dipendente sanitaria ero anche la mamma di Andrea … In quel
momento mi sono vista in un film, nella mia mente c’erano tanti spezzoni diversi e
alcuni non erano per niente piacevoli…
Mio figlio in realtà in quel momento non l’ha presa male, probabilmente non aveva
capito bene l’entità della situazione, era ancora in quella piacevole ebrezza da
anestesia e quindi siamo rientrati a casa abbastanza tranquilli. Le domande e i suoi
dubbi sono incominciati subito dopo …
Successivamente è iniziato il percorso presso la gastroenterologia del Policlinico, con
tutti gli annessi e connessi: prelievi di sangue, indagini diagnostiche, terapia
cortisonica, terapia specifica per il Crohn, bombe di 6 capsule da ingerire ogni giorno,
molte domande e dubbi rivolti soprattutto al padre medico.
Ad un certo punto la dottoressa che lo segue gli ha prospettato una terapia biologica,
perché la terapia tradizionale non stava dando dei risultati soddisfacenti; quindi, al
posto dei 6 pastiglioni ci sarebbe stata una punturina nella pancia una volta ogni due
settimane, situazione che a lui è sembrata subito più ragionevole e facile da gestire.
L’unica cosa da controllare sarebbe stata l’immunodepressione: pochi contatti con
tutti e tutto …

Da questo punto di vista mio figlio è sempre stato molto autonomo e ligio alle
raccomandazioni della sua dottoressa, meno male mi sono detta, però ogni piccolo
cambiamento o sintomo, anche se non collegato alla sua malattia, lo destabilizzava
molto, lo faceva sentire insicuro, perché ancora non si rendeva conto esattamente
della sua situazione e non accettava forse il fatto che la sua patologia fosse “cronica”.
Da allora si sono alternate varie fasi, di alti e di bassi umori e probabilmente adesso si
sta rendendo conto sempre di più che questa è una malattia che lo accompagnerà per
il resto della vita, tant’ è che per ironizzare si definisce “un croniano “. Meno male che
ogni tanto ironizza, mi sono detta …
Quello che sta diventando più complicato è il rapporto, già abbastanza complicato,
tra mio marito e mio figlio. Infatti quando mio marito si lamenta dei suoi malesseri, di
non riuscire più a gestire la sua vita come prima ed essere quello di prima, di non
sentirsi più amato e considerato, dall’altra parte subentra la rabbia e il malessere di
mio figlio che lamenta il fatto di avere scoperto una malattia cronica a 20 anni che lo
accompagnerà per tutta la vita, con risvolti anche psicologici.
Anche se cerca di non farlo vedere, anche se apparentemente sembra un ragazzo
come gli altri, dentro sta malissimo, a volte dubita di riuscire ad andare avanti, mentre
suo padre, tutto sommato, la sua vita l’ha vissuta e la sua malattia è venuta fuori da
pochi anni. Mio figlio non accetta l’insofferenza di suo padre, anzi lo infastidisce,
perché a volte è gratuita e utilizzata per farsi notare, per essere al centro
dell’attenzione, come è sempre stato nella famiglia, a detta di mio figlio e anche mia.
Avrete ben capito che io sono il mediatore della situazione, mi considero il cosiddetto
“parafulmini”, cerco di essere per lo più positiva e minimizzare la situazione, cerco di
farli ragionare insieme e riflettere, ma vi assicuro che è un lavoro molto difficile,
complicato e pesante, a volte ho la sensazione di non riuscire a reggere questo peso…
In questo momento, però, mi sento molto confortata e capita, da mia figlia Francesca,
di 16 anni, che è una ragazza molto solare, molto luminosa: l’ho definita “il mio raggio
di sole”.
Per concludere e per essere in equilibrio con gli eventi atmosferici della mia famiglia
pratico yoga e pilates, faccio camminate all’aria aperta, cerco di mettermi in gioco
come persona e come professionista. Questa è una delle tante ragioni per le quali mi
sono iscritta a questo corso di perfezionamento e all’associazione Tandem.

LA MIA NARRAZIONE DI CAREGIVER PAZIENTE O PAZIENTE CAREGIVER?