Buongiorno,  mi chiamo Alessandra Profilo sono nata in un piccolo paese del sud della Puglia, S.Pietro Vernotico (BR). Il 24/10/78. Sono gemella, nata prematuramente, alla nascita pesavo 900 grammi, ma io ho vinto, mi sono guadagnata la vita già a quell età. Ce l’ho fatta. Uscita dal calvario medico, sono finalmente tornata a casa, ma ad attendermi non era la mia mamma, ma la nonna. Mia madre aveva ben altro a cui pensare, forse noi non eravamo interessanti. Mia madre si separa con il mio padre naturale ancora prima che noi gemelline Alessandra e Stefania nascessimo, ma nonostante questo avvenimento mio padre ci riconobbe e ci diede il cognome Profilo, tutto ciò che ci diede. Mia madre presente cercava di capire quale fosse il suo ruolo, voleva capire se eravamo interessanti, e nel frattempo pensò di cercare un uomo che potesse consigliarle come prendersi cura di due piccole creature. Lo trovò, mia madre decise di prendersi una pausa e andò via con questo individuo, lasciandoci con la mia santa nonna. Noi avevamo 2 anni. Trascorrono i mesi, ma entrambi il mio patrigno e mia madre, pensarono di ritornare, forse per senso di colpa, forse perché volevano provare a fare i genitori.

Io spalancai gli occhi, occhi neri dolci come il miele vispi, la mia vivacità, la concretezza di abbracciare finalmente la mamma. Ero felicissima non mi importava che lei ci avesse abbandonato, mi importava che lei era tornata.

Ben presto il sogno svanì. Un mio pianto richiama l’attenzione di mia madre, avevo litigato con la mia gemellina, cose che capitano…..,ma lei non poté accogliere il mio pianto, lui arriva e picchia. Lei resta a guardare. La nonna prova a difendermi, io mi dimeno, e urlo:- non ho fatto niente! Lui continua. Ferma la sua furia solo quando smetto di piangere. Ho capito in quel momento che lui voleva educarci così. Comanda lui, ma io non volevo perdere questa battaglia, ne avevo vinta una già alla nascita. Avevo esperienza, ma nella mia ingenuità non avevo capito che da lì a poco la mia vita sarebbe stata l’inferno.

Lui ha potere sui piu deboli, beve alcool, non lavora ci picchia senza motivo, ci umilia, ci terrorizza. In casa entrano donne lui va in camera da letto, fa sesso, beve alcool. Mia madre dove cazzo era? Al lavoro. Oppure se era in casa faceva finta di non vedere. Oppure litigava con suo marito, ma senza mai prendere una decisione.

Anzi visto che i parenti di lui di quell’ animale selvaggio del mio patrigno gli dicevano che era gay hanno pensato bene di mettere al mondo un figlio. Lui voleva a tutti i costi un maschio. Intanto le violenze fisiche psicologiche a casa non si placavano.

A noi bimbe non veniva dato cibo, giusto lo stretto necessario brodino con dado latte e pane raffermo. I soldi servivano per sigarette alcool vizi di puttane e per nutrire mia madre e il mio patrigno

Noi andavamo a scuola, io ero un genio, ma casa non si poteva studiare perché era proibito. Studiavo di nascosto di notte con una torcia. Noi dovevamo ubbidire ed essere schiave. Lui comandava. Se sbagliavi erano botte, se disobbedivi erano botte, per qualsiasi motivo il più banale erano botte. Io lottavo chiedevo aiuto, ma la gente che mi circondava non ascoltava. OMERTÀ’. Mi hanno spaccato il ciglio in ospedale nessuna denuncia, una volta mi hanno ferito alla testa con un tacco di una scarpa, anche in quell ‘episodio nessuna denuncia, o per lo meno nessun sospetto. Ero denutrita segnata ad una vita infernale. Lotto lotto con tutta me stessa chiedo aiuto, a voce alta a voce bassa, scappo di casa all eta’ dii 8 anni , ma vengo ritrovata dal demonio riportata a casa e destinata ad una vita fatta di violenza psicologica fisica carnale. Nulla poteva salvarmi, da quel momento non parlai più. Mutismo. non avevo piu la grinta la voglia di reagire, cercavo di annullarmi, molto lentamente mi lasciai andare non mangiavo, non sorridevo ero terrorizzata, impaurita. Spesso me ne stavo davanti alla finestra e guardavo fuori altri bambini giocare e io mi chiedevo. Perché io non posso .Bene L’OMERTA’ HA DECISO PER ME.Io non avevo più voce il silenzio il buio il dolore era il mio miglior amico. Un giorno accadde una una cosa molto brutta ,ma che in parte mi salvo’.Mi abbandonarono sugli scalini di un pronto soccorso. Ero trasparente, sembravo carta velina, ero in uno stato vegetativo ascoltavo, ma non sentivo, non parlavo e soprattutto non ricordavo. Rimossa ogni cosa. Strizza cervelli che dicono non si fa più nulla, lo psichiatra che mi vuole imbottire di farmaci, nei corridoi infermieri che raccontano la mia storia e mi danno per spacciata .Ho pensato sono spacciata sono un peso per la società sono inutile e sono un soggetto poco interessante. Quindi oggi brutalmente si direbbe meglio che muoia perché non c’è speranza. Mi sentivo afflitta io che avevo lottato per la vita in un incubatrice ero li che ascoltavo gli operatori che la mia vita presto doveva finire. Dagli assistenti sociali e i carabinieri  fui portata nel purgatorio.

Entriamo in un ufficio dove vi era uno strizza cervelli gli assistenti sociali e altri operatori. Ci attendevano e quando fui presentata dagli assistenti sociali strizza cervelli disse: è questa la ragazzina? I servizi risposero si.

Io gli leggo lo sguardo: era strano lui mi guardava ma niente interrogatorio. Mi portò nella mia casetta vi erano altri ragazzi: L’OMERTA’ AVEVA COLPITO ANCHE LORO. Etichettati esseri insignificanti, per la società io restavo li a guardare il silenzio, non si ubriacava nessuno si prendevano cura di noi, ma lo psichiatra insiste con l’ imbottirmi di farmaci, gli operatori continuano a darmi per spacciata. Andavo dallo strizza cervelli  nel suo studio, ma non accadeva nulla. Un giorno accadde l’imprevedibile. Ero nella mia camera sul mio letto in posizione fetale. Entra lo strizza cervelli si siede con una sedia lì di fianco a me e mi disse: cosa ti hanno fatto? Picchiato?       Li sono sprofondata. Rimasi muta, accovacciata su me stessa. M’invase il demonio e cosa sarebbe successo da lì in avanti? Una cosa era certa di quello strizza cervelli potevo fidarmi. Io piansi e lui rimase li, in silenzio rispettando il mio dolore non volle sapere nulla. Lui capì. Rispettò il mio dolore ,poi mi disse io vado. Ordinò a tutti gli educatori massima attenzione e disse loro di chiamarlo se io avessi chiesto di lui. Ame sembrava di vivere un incubo infinito…..il primo ricordo mi svuotò la pelle, non pensai che da lì a poco sarebbe esploso un vulcano. Quanti ricordi mi avrebbero svuotato. Ero terrorizzata. Ero ad un bivio da una parte ritornare all’inferno dimenticato e cercare di sconfiggere i demoni, dall’altra la morte. Ero indecisa fino al giorno successivo.

Lo psicologo Luigi C. ritornò il giorno seguente. Mi trovo esattamente nella stessa posizione di come il giorno precedente mi aveva salutato. Si sedette e mi CHIESE . Come stai? Mi scese una lacrima.  Poi mi disse :- Ti picchiavano e poi? Terrorizzata rivivevo i ricordi su tutto il mio corpo sentendone suoni rumori dolori. Avevo una massa malata dovevo curarla ,ma come? Elaborando lottando. non avevo nessuna arma per sconfiggere i demoni che si erano impossessati di me.

ero addolorata afflitta da tanto dolore. non riuscivo neanche ad alzarmi dal letto avevo la testa che non rimaneva attaccata al collo se ne andava in giro per le vie del buio.

le mie gambe erano paralizzate  il mio cuore era spento il sangue non passava piu per dare ossigeno, ma per dare la materia di marciume di veleno.

il mio corpo non riusciva a reagire io ero nel buio più totale, in un tunnel interminabile.

vagavo gironzolavo sconfitta dai demoni. lo psicologo nel frattempo era lì, seduto accovacciato Siemens a me lui abbracciava i miei ricordi non pianse mai, lui era uno strizza cervelli, non poteva né doveva mostrare compassione, ma io quella compassione l ho letta nei suoi occhi, in questa compassione in questo suo modo di abbracciare e prendere  un po’ del il mio dolore , vidi uno spiraglio di luce.

lui mi era affianco senza parole lui ascoltava, io non ero più sola. Gli educatori il personale che si prendeva cura di me cambiò .iniziammo un progetto e un percorso comune e mi salvai. sono vissuta nell’inferno, l’ho dimenticato, poi sono andata nel purgatorio , ho rivissuto l’inferno per conoscerne il benessere del paradiso.

un fiore che nasce in mezzo la neve non ha solo coraggio, ma pazientemente aspetta i raggi di sole che arriveranno. al momento giusto riscalderà le sue radici e sboccerà.

io sono stata denudata dalla mia purezza che non tornerà piu, e non riavrò piu. sono stata emarginata, etichettata non avevo o non dovevo avere speranza per vivere. Perché’?

perché io non potevo avere una possibilità di guarigione differenza di tutti gli altri medici Luigi Corvaglia ha sperato ed ha lottato prima intervenendo al momento e posto giusto ,poi lottando con me. Lui non aveva un ora a settimana , ma ore ed ore disponibili per me. non aveva limiti di orario, lui era li con me. lui mi ha creduto. ha lottato anche per non farmi somministrare la terapia farmacologica.

questa e’ una storia molto triste, la depressione infantile lo sguardo perso nel vuoto le violenze subite sono un macigno per chi le vive, non ci sono parole per descrivere quello che si prova quando si subisce tanto dolore e orrore, ma io voglio dire a tutti che se io non avessi alle spalle questa storia non sarei la persona che sono adesso. Io ho imparato ad amare ascoltare la bambina che era in me ho imparato a coccolare con dolcezza e amore Alessandra piccola, poi ho imparato ad amare l’adulto che e’ in me accettandone le forme la sessualità. ho ricordato il pianto della vita e’ da li sono ripartita. amo me stessa la vita cerco di cogliere le cose semplici che mi offre, amo vivere adoro il mio lavoro, amo e mi sento in dovere di lottare per i diritti e l’uguaglianza infantile.

racconto la mia storia a tandem e la condividerei con il gruppo, perché per insegnare ad ascoltare ,dobbiamo prima imparare ad ascoltare.

racconto la mia storia perché vorrei che questo dolore non sia stato vano, vorrei che tutti coloro che lavorano nell’ambito educativo psichiatrico medico possano capire che bisogna lottare e cercare sempre di dare una seconda possibilità. etichettare giudicare l’omertà uccide.

gli ingredienti segreti per poter dare nuovamente alla luce una vita che nel buio del giorno si e’ smarrita sono pochi: ascolto, mettere a disposizione tempo, cercare di intervenire nel momento e nel modo giusto, pazienza, umiltà. non bisogna mai dire non c’e’ la fa, ma bisogna dire proviamo, equipe proviamoci.

questa e’ la mia storia, in parte. se un immagine di questa storia ti rimane impressa, dipingila con la fantasia dai colori piu vivaci accarezzala con lo sguardo consolala con il cuore.

non avere paura di agire, abbine cura delle storie dei pazienti non tralasciare i dettagli perché ‘li’ ci sono segreti, osserva lo sguardo dei pazienti, i suoi movimenti, il corpo parla, ha voce, non escluderlo da nessun progetto di terapia.

Narrazione storia