Non sono certo superstizioso.

O meglio, lo sono come molti, ma non ci credo.

Certo converrete che essere trasferiti da un grande a un piccolo ospedale, per iniziare un percorso sconosciuto, dagli esiti incerti, il tutto di venerdí 17,  non è proprio il massimo a cui uno possa aspirare.

Specialmente se uno esce da tre settimane di coma, più una di coscienza precaria.

E cosí questo venerdí 17 ottobre 2014, dopo che un medico del Pronto Soccorso di Baggiovara (ospedale di Modena) ha valutato essere ora di trasferirmi dopo avermi spinto una mano all’indietro ed aver constatato che non sono morto, mi ritrovo caricato su un’ambulanza, accompagnato da una dottoressa di turno e da una volontaria volonterosa, in viaggio verso l’ospedale di Correggio (RE), dove inizierò un percorso di riabilitazione.

Le mie condizioni: incapace di muovermi/sollevarmi a causa della completa paralisi della parte destra (viso, braccio, fianco, gamba e piede); incapace di parlare a causa di una tracheotomia che mi è stata praticata per farmi respirare durante il coma e che tuttora mi vede necessario di ossigeno; incapace di sentire qualsiasi suono dall’orecchio sinistro, reso irrimediabilmente sordo dalla emorragia cerebrale che mi ha colpito un mese prima.

Il viaggio dura meno di un’ora, e per tutto il tempo rimarrò collegato a una strumentazione di controllo, che verrà sostituita all’arrivo da una strumentazione analoga (ogni ospedale si fida solo di sè stesso); ma non c’è da preoccuparsi: tutto è sotto controllo e qualsiasi anomalia verrà prontamente rilevata.

Tutto è cominciato la mattina del 18 settembre 2014, appena arrivato al lavoro, come sempre nelle belle giornate, in bicicletta.

Apro come al solito la finestra per cambiare l’aria nell’ufficio, appoggio giacca e zainetto mentre accendo il computer; nessun dolore, ma un odore strano che sembra far girare la testa: mi affaccio alla finestra e osservo il lavaggio di alcuni furgoni parcheggiati sotto, ai margini della piazza. L’odore strano sembra provenire proprio da lí, chissà che prodotto staranno usando. (naturalmente è tutto dentro la mia testa).

Nel frattempo è arrivato il mio collega/amico S… e decido di fare alcuni passi di prova lungo il corridoio, per vedere se riesco ad andare in linea retta.

Niente da fare, mentre mi siedo annuncio di non stare molto bene, ma non è niente, passa subito.

Per fortuna S… è un iperprotettivo, e quando svengo (lentamente, continuando ad assicurare che non è nulla) chiama immediatamente il 118 (la tempestività della richiesta e dell’intervento probabilmente mi salveranno la vita).

Da quel momento ho solo vaghi e frammentari ricordi: R… che mi sostiene, P.D… che sovrintende preoccupato, una giovane volontaria del 118 che si raccomanda di ricordarsi un numero di 4 cifre (che non riuscirò a ricordare mai).

Qui inizia un periodo (tre settimane) costellato di sogni misti a realtà, dove brandelli di informazioni strappati al letto sul quale sono costretto sono mescolati a pure fantasie, il tutto rielaborato ad uso e consumo del mio inconscio.

Riporto di seguito uno di questi sogni, a titolo di esempio:

[sogno]  In un primo tempo il pronto soccorso (ubicato in un paese straniero) sembra essere un luogo eccezionale, tanto che un paio di amici decidono di fare una donazione.

In un  secondo tempo,insieme a mia moglie, si decide di fuggire, attraverso Internet, perché il Pronto Soccorso è un luogo di sofferenza.

C’è un grande parcheggio all’esterno, dove si trova la mia auto, uno strano trabiccolo fatto di due parti, dove mi si informicola sempre il piede destro (rimarrò paralizzato a tutta la parte destra) a causa di una enorme quantità di libri da trasportare. [Fine sogno]

…..

Una considerazione a margine: durante il coma non ho visto nessuna luce, né mi è  apparso nessun essere trascendente (forse a causa del coma leggero; ma i medici che mi avevano in carico hanno detto che le mie possibilità di sopravvivenza erano molto basse, e nel migliore dei casi sarei rimasto un vegetale. Cosa ne era nel frattempo della mia coscienza? )

……..

Nell’ospedale di Correggio il periodo più duro.

Correggio è principalmente un centro di rieducazione di primo livello.

Personale gentilissimo, medici competenti, moderne attrezzature, struttura rinnovata.

Però quando fatichi a respirare anche con l’ossigeno, quando il dolore nella gola causato dai tubi della tracheotomia e dell’alimentazione non ti abbandona mai, quando devi stare sempre supino perchè i tuoi muscoli sono completamente atrofizzati, allora l’ambiente circostante non ha molta importanza.

L’organizzazione è ferrea nella scansione (sveglia con misurazione dei parametri vitali, medicine del mattino, lavaggio del corpo “a pezzi” e eventuale cambio di biancheria, intervento della logopedista, intervento della fisioterapista), ma molto “elastico” negli orari:

il personale – specialmente quello di livello più basso – è chiaramente insufficiente e il rispetto del programma della giornata è di volta in volta condizionato dal punto del corridoio dal quale iniziano le operazioni.

Esistono due gerarchie, una formale e una sostanziale. Quella formale (in ordine decrescente): medici/logopedisti/fisioterapisti/infermieri/ausiliari, l’altra, sostanziale,: infermieri/logopedsti/fisioterapisti/medici/ausiliari. Gli infermieri detengono il potere di fatto, per competenza, per mole di lavoro e responsabilità, per tempo di contatto con i pazienti.

Vengo “scambiato” in carico tra due fisioterapiste, probabilmente per ragioni di statura. Lo “scambio” avviene con il mio compagno di camera, dal quale non sentirò mai una parola e che ha avuto e avrà una montagna di problemi.

La cosa più ridicola è la “visita parenti”.

La “visita parenti” è ridicola per tutti, nel senso che sia i visitatori che il visitato hanno ben poco da dire. In genere si ostenta ottimismo, del tutto infondatamente; e tutti ne sono pienamente coscienti. Il visitato si stanca (anche fisicamente) e i visitatori non vedono l’ora d’andarsene, ma nello stesso tempo devono fingere di voler restare ancora. In questi casi la cosa migliore da fare per il ricoverato è cacciarli col miglior garbo possibile.

Tra i parenti del mio compagno di camera c’è lo suocero, che – se non fosse una tragedia – è un vero spasso. Arriva con la suocera (che tratta il paziente amorevolmente, come un figlio) e comincia a dire: “Allora, cosa mi racconti?”.

Il poveretto non riesce a parlare, può solo muovere gli occhi, ma evidentemente preferisce tenerli chiusi. La seconda domanda, ripetuta inutilmente la prima, è: “tutto bene ad A…?” (paese natale). Ottenuto il silenzio come unica risposta, il parente si chiude in un mutismo offeso, a sottolineare che lui ce l’ha messa tutta, e non è certo colpa sua se il genero non collabora.

Questa scena si ripete ogni volta, e ogni esperienza sembra inutile.

Molti familiari, amici, colleghi vengono a trovarmi. Mi fa piacere, mi stanco molto, vorrei che non venissero ma li aspetto con ansia. So che è una contraddizione ma non so cosa farci.

Molto tempo immobilizzato significa molta noia.

Così mi alleno a contare i secondi e poi a confrontare il risultato con l’orologio appeso alla parete di fronte.

Sono abbastanza bravo; forse un po’ troppo veloce.

Il problema è quando siamo verso le cinque di sera: la respirazione si fa più difficile e si sente il catarro andare di traverso. Avrei bisogno di essere “aspirato”, una delle operazioni che ci si augura di meno, perché danno una sensazione di soffocamento totale. Per fortuna è solo una sensazione, ma quanto reale!

Hanno portato via l’orologio appeso di fronte!

Ora c’è solo un muro bianco, che come distrazione per tutto il giorno non è proprio il massimo.

Oggi hanno provato ad “alzarmi” sollevandomi con un’imbragatura come se fossi un sacco di patate: tutto bene. Si prospetta un percorso di fisioterapia che mi porterà prima a sedere e poi addirittura a camminare (seppure sostenuto da entrambi i lati).

Nel frattempo continua l’assistenza dei familiari sia in termini materiali di assistenza corporea, sia per permettermi di comunicare usando un elenco di lettere dell’alfabeto. Ripristinato anche un vecchio gioco di mia figlia: “Sapientino”.

Stare seduti è molto doloroso e non si resiste per più di una decina di minuti.

Stanotte,con grande sforzo, mi sono strappato la cannula che, passando per il naso, arriva fino allo stomaco e serve per nutrirmi.

Quando l’infermiera di turno se n’è accorta me l’ha reinfilata, e ho sentito molto male; ma per un paio d’ore la mia autostima è stata alle stelle: avevo affermato la mia volontà di gestire il mio corpo contro l’opinione di tutti.

Non ricordo se prima o dopo questo episodio avevo fatto un sogno nel quale tutti noi pazienti ci ribellavamo al mangiare e alle medicine somministrate dall’ospedale. A seguito di una convenzione con una pizzeria avremmo mangiato d’ora in poi per conto nostro. Inoltre, prima di prendere medicine avrebbero dovuto spiegarci a cosa servivano e per quanto tempo avevano intenzione di darcele.

Continuo la fisioterapia di recupero e tutti dicono che ho risultati strabilianti; ho il sospetto che questo modo di trattare i pazienti faccia parte di uno standard per mantenere alto l’umore.

Nel giro di due mesi sarò trasferito all’ospedale di provenienza, previo accordo del direttore del reparto che deve “completare” la riabilitazione.

Nel frattempo rifiuto di andare a casa “in permesso”. Mi sembra si tratti  di una cosa illusoria e che obblighi tutti a un finto ottimismo. (Ne usufruirò nei mesi successivi).

Mi sono specchiato all’interno di un ascensore: un vecchio dalla barba incolta con vent’anni in più di quelli che ricordavo; è stato un duro colpo.

Complessivamente sono due mesi di medicine, fisioterapia, logopedia, esami per capacità respiratoria, esami per la vista e per l’udito, briefing  sull’andamento delle cure con medici,operatori e familiari. Alla fine,dopo un trasferimento di camera, si decide per  il trasferimento.

A Baggiovara  debbo solo essere eternamente grato alle fisioterapiste che non solo hanno fatto sì che riprendessi a camminare (seppure malamente), ma sono state delle vere PERSONE UMANE con le quali è stato possibile instaurare un rapporto che andava aldilà della dinamica curante – paziente.

In un paio di mesi ho infatti rovesciato il mio atteggiamento riguardo al tema vivere – non vivere.

Dipenderà anche dal fatto che un “fratello di latte” di mia sorella si è ucciso, ma il motivo del suicidio è sempre stato presente per me.

Sia come considerazione generale sul diritto civile alla proprietà personale della propria vita e sul conseguente diritto a decidere di porvi fine, sia come problema personale di quale senso dare alla mia esistenza.

Non per caso il primo libro che ho chiesto quando ero ancora immobilizzato a letto è stato Essere e Tempo di M. Heidigger, che mi aveva sempre molto incuriosito ma che non ero mai riuscito a leggere veramente.

Il problema vero,effettivo, si è posto dopo il rientro a casa.

Dal punto di vista  pratico ho avuto da mia moglie un supporto e un’assistenza totali.

In ospedale è venuta ogni giorno, sia a Correggio che a Bggiovara, e a casa mi ha scarrozzato per ogni dove, occupandosi di tutte le pratiche burocratiche. Questo per anni, senza interruzioni.

Il vero problema sta nel nostro rapporto, inteso come rapporto tra spiriti.

La difficoltà più grossa per lei sta nel fatto che da quando ci siamo messi insieme noi ci siamo SCELTI  come persone complessivamente intese.

E questo è continuato sempre, con gli alti e bassi  che lo stare insieme (casa, convivenza, figli, ecc…) comporta.

Ora, improvvisamente, mentre lei è rimasta quella di prima, io sono diventato una persona sostanzialmente diversa, dal punto di vista fisico e mentale.

Questo fatto è difficile da accettare anche per me, ma sono facilitato dalla condizione di non avere nessuna possibilità di scelta, di essere praticamente obbligato ad accettarmi così come sono, pena il rifiuto della mia vita. (su questo tornerò in seguito).

Per lei invece si pone un dilemma.

Da un lato si sente “obbligata” ad accudirmi per obblighi sociali e per obblighi affettivi.

Dall’altro non avrebbe SCELTO una persona come me, perché avere un rapporto vuol dire poter contare reciprocamente sull’altro.

In sostanza il nostro ora è un rapporto fortemente sbilanciato.

Per fortuna questo sbilanciamento trova la possibilità di “sfogarsi” in maltrattamenti psicologici periodici.

Ora si tratta di trovare un NUOVO EQUILIBRIO tra due persone diverse. Sarà possibile?

Sono ormai passati tre anni da quando è successo, e i miglioramenti sono sempre più scarsi (a volte mi sembra perfino di peggiorare).

Continuo a ripetermi che non devo lamentarmi: bene o male cammino (per brevi tratti, con un deambulatore, con forti problemi di equlibrio), lavoro anche se a orario ridotto, mi lavo, mi vesto, vado in bagno da solo, ho preso addirittura la patente e guido l’auto da solo, per viaggi moderatamente lunghi.

Insomma  faccio una vita quasi accettabile.

Ciò che non è accettabile (cioè è solo subito) è il continuo confronto con quello che riuscivo a fare “prima”.

………

Sono passati tre anni, e ormai non spero più in miglioramento, ma soltanto in mantenimento.

………

Devo citare un episodio di infantilismo durante il quale ho rifiutato di mangiare e di bere per due giorni. Volevo suicidarmi (per la verità ho il fondato sospetto che stavo solo cercando attenzione).

Mia moglie si è spaventata e ha mandato a chiamare i miei figli.

Ha avvisato anche la dottoressa di famiglia.

Dopo due giorni ho desistito, ma nel frattempo era insorto un conflitto con mia figlia. La mia posizione metteva in questione la mia figura di padre, e questo distruggeva la sua personalità(?).

Ho accettato di andare da uno psicologo (anche se non ne ho alcuna fiducia). L’escamotage è stato quello di andare qualche volta dalla psicologa di mia figlia. Devo confessare di essermi trovato con una bella persona.

Penso che con i figli a un certo punto il rapporto debba cambiare.

Il riferimento sono i gatti, che dopo sei mesi non riconoscono più la prole.

Non dico che si debba arrivare a questo estremo, ma ad una certa età uno deve avere una propria personalità, diventare un’altra persona, non dipendere più dai propri genitori come quando aveva cinque anni.

……

Sono passati quattro anni dall’emorragia cerebrale,  mi sembra di mantenermi stabile o di peggiorare.

Percorro un tragitto molto più corto che in passato e mi stanco più facilmente.

Sono stato dalla psicologa, mi ha fatto una buona impressone, vedremo andando avanti. Continuerà a trattare ALice; mi ha sentito in questo ambito.

Qualche difficoltà sorge dal compito assegnato dalla psicologa, ovvero di scrivere quel che sono le proprie emozioni.

Come si descrivono le proprie emozioni utilizzando un linguaggio che, per definizione, razionalizza per poter comunicare? Aspetto lumi.

Frequento A. L. I. Ce che é un’associazione di disastrati a vari livelli da ictus e simili; una trentina di persone.

Ci si vede due giorni alla settimana per due ore. La prima ora é sempre di fisioterapia di gruppo, la seconda cambia di volta in volta con teatro, musica, giochi, ecc…; è una cosa molto positiva, anche se rischia di essere un po’ chiusa; per fortuna  alcuni amici mi aiutano a ricordare che esiste anche un mondo di “non malati“.

Da quando sono in pensione (sett. 2017) ho molto tempo libero che utilizzo per leggere e per fare lavoretti in casa.

Il rapporto con mia moglie si é assestato su uno strano disequilibrio:

passato un periodo nel quale lei voleva cambiar casa e io no, ora alterniamo periodi nei quali ci si ignora reciprocamente ad altri nei quali rispunta il vecchio affetto.

……..

Siamo nel 2021 e sono passati parecchi anni da quando è cominciata questa nuova fase della vita.

Nel frattempo è arrivata la pandemia, sulla quale ci sarebbe molto da dire, e che ha cambiato molto il modo di stare insieme.  Mi limiterò a osservare che le persone come me sono forse quelle che hanno sofferto di meno (relativamente) per aver dovuto osservare una “distanza sociale“ della quale sentivano il peso già da prima.

Ora mi pongo più frequentemente domande sul senso della vita, sulla sua finitezza, e le risposte mi mancano (sospetto che non ci siano)

Sembra proprio che questa emorragia cerebrale -per qualche verso- mi abbia fatto bene!

VENERDÍ 17