Dopo una faticosa ricerca nella mia mente tra tutte le narrazioni ho deciso di scegliere una
narrazione autobiografica. In queste poche righe narro la mia esperienza come medico, in questo caso nel ruolo di un
(possibile) paziente. Prima occorre contestualizzare il fatto.
Ad Aprile ho avuto l’opportunità di fare una relazione sull’accesso alle cure palliative degli
anziani al palazzo di vetro alle Nazioni Unite. Un lavoro che ha richiesto uno sforzo notevole in termini organizzativi e sicuramente un
episodio significativo per un giovane MMG. La sera mentre mangiavo con un mio Collega a Brooklyn, ricevo dei messaggi da mia zia
che tra varie perifrasi mi hanno fatto capire che c’era qualcosa di serio al di là dell’Oceano. Vengo informato che mia mamma è stata operata, o meglio craniotomizzata, per la rottura di un aneurisma cerebrale. Un vortice di emozioni, tuttavia, ho mantenuto la calma.
Una strana sensazione, se dovessi descrivere come mi sentivo, con una immagine è quella del computer che funziona in modalità provvisoria. Non aiuta essere lontano e figlio unico. Bisogna aspettare anche perché é il week end di Pasqua e non è facile trovare un volo di rientro immediato.
Cosa potevo fare? Intervento era andato bene, decido di chiamare anestesista che mi rassicura, nel limite del possibile.
La relazione era il giorno dopo, decido di partire subito dopo il mio compito. Una volta in Italia, mi reco subito al reparto. Difficile incontrare un medico. Ci sono gli orari.
Essere un collega in ospedale serve ben poco. Parlo finalmente con il medico di reparto. Mi presento sono figlio della sig,ra M, sono un medico.
Il Collega mi chiede che tipo di medico, riferisco un medico di Medicina Generale, lui mi dice: “guadagnate molto voi MMG”- rimango un poco spiazzato.
Forse era un modo per rompere il ghiaccio, ma ero già abbastanza “frozen” di mio. Forse non ho apprezzato io quel genere di humor.
Liquido la battuta dicendo che siamo in pochi e che se è una professione vantaggiosa economicamente a breve ci sarà posto, facendo presente che bisogna poi gestire la
relazione di lunga durata con i pazienti nel caso sia interessato. Si è messo a guardare il PC senza nemmeno farmi accomodare, mi dice sei fortunato è andato tutto bene. Poi senza guardarmi negli occhi, aggiunge:
“Nella popolazione il rischio di aneurisma e 1:200 tu potresti avere 1:100. Io farei una AngioTC”, e prosegue: “Non sai quanti ne ho beccati” nel caso è un intervento da niente.
Mi aspettavo un discorso del genere dal chirurgo. Purtroppo il film come si dice in gergo me lo ero già fatto relativamente al mio rischio. Ho sentito nelle sue parole il freddo distacco della sala operatoria, anche se parlava per il mio bene. Mi ha spiazzato, di nuovo, essere liquidato in 15 minuti forse meno, senza una presa in carico.
Era domenica, era domenica mi dico.
Era il Medico di Guardia.
Non sono pronto.
Non sono pronto punto.

Ecco davanti a me la famosa diapositiva della Kubler-Ross. Se dovessi posizionarmi nella curva del cambiamento, ecco sono molto indietro…
Alla notizia dell’intervento di mia mamma mi sono sentito come un pesce nella boccia di vetro, giravo solo nella mia boccia di vetro, funzionavo. La mia mente era quella di un
pesciolino, vuota per non pensare, comandava l’istinto. Per quanto riguarda la mia di salute, la metafora è quella che mi hanno riportato i pazienti a cui è stato diagnosticato un’ aneurisma cioè la famosa spada di Damocle, non sulla testa, ma nella testa.
Quali messaggi da questa narrazione?
Il chirurgo è stato chiaro, non ha usato metafore, che non avrei apprezzato probabilmente in questo contesto.
La comunicazione è stata onesta. Non mi sono sentito compreso nel mio stato d’animo, non mi ha chiesto banalmente come stavo.
Non mi ha proposto un percorso (in effetti non c’è). Forse se mi avesse detto vieni il tal giorno forse mi sarei sentito diversamente.
Nella mia pratica come medico e come persona sicuramente è importante non dare troppe informazioni e soprattutto dare alla persona il tempo di “metabolizzare” la notizia e di trovare un tempo magari in un momento successivo per comprendere meglio le paure e il vissuto.
C’è un grande senso di solitudine e paura in questo genere di comunicazioni.
Non è facile prendersi cura di chi si prende cura, specie se medico.
Non mi sento per nulla invincibile.
Scrivere queste righe mi è servito per riflettere di nuovo su questa pagine della mia vita.
Tendo a non affrontare il problema e sono fermo anzi fermissimo nella mia curva del cambiamento anzi del (NON) cambiamento. Tuttavia mi è servito questo compito per nominare le mie emozioni.

Non sono un bravo scrittore