Possono venire tempi di orrore e di profonda miseria e sconforto, ma se nello sconforto ci
sarà una felicità, questa potrà essere solo spirituale, rivolta indietro a salvare la memoria
di tempi precedenti e rivolta in avanti a rappresentare con serenità e diligenza lo spirito di
una memoria che altrimenti cadrebbe in preda alla materia.
Vorrei scrivere qualche cenno riguardo a gli ultimi momenti di Ines. L’idea mi è venuta
pensando a una famiglia che ho conosciuto durante una visita domiciliare e di cui ho
discusso a lungo con la dottoressa in ambulatorio, una famiglia frammentata, e perciò un
ambiente poco dolce nel quale una persona possa spegnersi con serenità.
Perché penso che la morte possa venire affrontata con dolcezza anche. Mentre scrivo
piango, ma al contempo sono invaso da sentimenti molto teneri.
Ines non era mia nonna sebbene la consideri tale. Non che non abbia una nonna naturale
o che sia in cattivi rapporti con lei, solamente non aveva tempo per badare a noi nipoti, era
una pediatra; nessuna paura: la ho poi riscoperta e mi sono affezionato molto a lei da più
grande, studiando assieme. Ines era una ragazza quando ha iniziato a lavorare per la
famiglia dei miei nonni, si occupava di tenere dietro alla casa. Non se ne è mai andata,
abitando con noi oltre sessant’anni.
La mia è una famiglia un po’ strana, i miei nonni hanno avuto dieci figli -e non contenti ne
hanno adottati tre e ospitati tanti ragazzi e famiglie straniere per diversi anni ogni volta.
Ciascuno dei figli poi ha una media di cinque figli, e così siamo proprio un mucchio, noi
cugini. Per non parlare degl’animali, cavalli, asini, e anche due scimmie una volta! La cosa
bella è che abitiamo tutti vicini in ville di campagna proprio a due passi dal centro di
Modena.
Io e i miei fratelli più di tutti siamo stati legati a Ines perché mia mamma, dermatologa e
mio padre, psichiatra lavoravano moltissimo quando ero piccolo e così trascorrevamo
lunghi pomeriggi a casa dei nonni. Ma in fondo tutti la consideriamo un po’ nostra nonna,
perché era lei che da piccoli rimetteva in ordine la camera dei giochi, ci preparava i panini
e nutella, e raccontava le ninna nanne. E quanti sederi avrà pulito: oltre cinquanta, oltre
sessanta!
Ero molto legato a lei e le volevo tantissimo bene.
La storia della sua malattia è stata piuttosto breve. Non si è mai fermata, ancora a
ottantacinque anni potevi vederla arrampicarsi su per i piani della cucina per raggiungere
mensole e cassetti a oltre due metri, lei che era così piccolina e leggera, come faceva da
giovane: una forza della natura! Il cancro allo stomaco la ha presa e togliendole tutte le
energie in un baleno: ha cominciato una mattina a non volersi più alzare, a mangiare
pochissimo e a provare dolore. Del percorso diagnostico e terapeutico si sono occupati i
miei zii, nella mia famiglia sono tutti medici, e è stato possibile garantirle una giusta
assistenza in casa. Ogni mattina la portavo in braccio in bagno, e poi giù per tre piani di
scale fino alla sala dove avevo preso una poltrona elettrica: non una grande fatica, pesava
solo ventisette chili alla fine. Poi stavo con lei ore. Semplicemente stavo con lei mentre
studiavo o se avevo impegni in università le lasciavo della musica classica di sottofondo.
Ma non era mai sola perché ci davamo sempre il cambio tra zii o cugini, la cosa bella è
che questo avveniva senza che ci fossimo organizzati con dei turni, e tante volte anzi
eravamo in più persone a farle compagnia, specie la sera e a pranzo.
Vivo in un ambiente molto religioso, la sera recitavamo i salmi e pregavamo al suo
capezzale; ho la fortuna di avere uno zio prete e sono stati momenti proprio molto belli.

Ogni sera ero lì, assieme al mio zio prete, Filippo, e mio zio Giovanni, infettivologo, che si
è fatto carico di gestire l’aspetto medico più di tutti, e ai miei nonni; gli altri zii venivano
quando potevano. Purtroppo, non partecipavano molto i miei cugini, solo una in realtà con
costanza, e mi dispiace sinceramente che si siano persi quei momenti così intensi. È stato
un momento di comunione, nessuno spazio a divisioni e litigi. Si percepiva il bene che tutti
le volevamo. Noi eravamo la sua famiglia e mi compiaccio di pensare sia stata felice di
aver vissuto i giorni del trapasso con tutti noi vicini. Chiedeva sempre scusa e non voleva
disturbare. Era una donna molto umile. Questi avvenimenti fanno maturare, capire che ci
sono cose più importanti nella vita dei soliti bisticci, fanno sí che ci si voglia più bene dopo.
Ines era così piccola nella magrezza del cancro, e nascosta sotto le coperte: pesava
ventisette chili. Mentre pregavamo le tenevo il polso. Scoppio in lacrime mentre scrivo, a
ricordare quei momenti. Sentivo la sua vita in quel pulsare.
Ho voluto raccontare questa storia perché il calore che percepivo in quei momenti ritengo
debba essere quello scalda ogni persona al termine del suo percorso. Mi piacerebbe
morire così. Le persone a cui ho voluto bene, tante o poche che siano, vicino a me fino
all’ultimo momento, nella mia casa. Respirando un profumo di bene, di gratitudine, di
tenerezza, di affetto.
L’emozione più forte della mia vita è stata sentire la sua vita nel pulsare ritmico del polso.

Una morte bella